mitografia del quotidiano, Varie
Quando insegno sto bene & altre questioni correlate
Manuale di Volo/ Come affronto i vuoti d’aria
Io quando vado a scuola,non insegno quello che voglio,neppure insegno quello che ho preparato, ma insegno quello che sono. Marco Agosti-pedagogista
Il mio 2018 è iniziato con una discreta serie di difficoltà, quelle prove che necessitiamo per rafforzare la nostra volontà, continuare o cambiare direzione, migliorare la nostra consapevolezza. Senza tema di dubbio ogni sfera umana è stata , sfiorata, toccata e talvolta direttamente macellata.Non è mio uso frignare o lamentare sul web cose che direttamente o indirettamente toccano tutti ma nella mia vita, con quel filo di sguardo prospettico maturato, posso affermare di aver sostato e poi traversato parecchie volte piccoli atolli d’inferno. Le attuali difficoltà direi che sono nettamente superabili!
La mia generazione è stata macellata negli anni 80 dalla droga e senza vergogna posso dire d’aver conosciuto 5 anni di quella strana vita che passava per stanze buie d’hotel, vicoli sporchi, bagni delle stazioni, ricette rubate, farmacie di turno, dolori fondi come il nero e infinite paure ma soprattutto l’incoscienza che un’incidente di percorso ti possa spedire dritto a tener compagnia a qualche asteroide, al santo di turno o all’amico del cuore che qualcuno ha lasciato crepare in salotto scappando per paura di soccorrerlo e venire scoperto.
Il periodo “pericoloso” 1981 foto scattata in Accademia dia tungsteno
Non rinnego nulla di quel periodo che ha avuto anche momenti positivi, mi sono laureato con buoni voti poi sono andato a lavorare a Milano cercando di gestire come potevo la scimmietta che con cura avevo addomesticato. Acqua passata direi, sono trascorsi oltre 33 anni dalla mia ultima volta nel bagno di una pizzeria. Scoprii che quel bozzolo/ventre materno nel quale mi rintanavo serviva al bambino per non crescere, certo caddi per sventatezza, forse aiutato anche dalle letture maudits, da William Burroughs e da molta musica che ascoltavo.
Fu ironico ritrarre Lou Reed dopo molti decenni, uno di fronte all’altro, entrambi ” puliti” come si dice in gergo, ma la stessa cosa la provai con Lydia Lunch. I più curiosi leggano il mio libro POETI IMMAGINATI dove, per certo con modi più poetici, ho raccontato queste cose. Non mi sono mai nascosto. Ho fatto delle esperienze, sono passato da errori a orrori, anche se le prime volte tutto pareva bellissimo, ma se sono qui con un certo carattere, con modi e disponibilità verso l’Altro è perchè ho intuito che non esistevo solo io, il mio dolore esistenziale, quei brandelli di genialità ( lo dicono gli altri, io mi sono sempre sentito in imbarazzo rispetto alla mia creatività) e tutto ciò che impropriamente e maldestramente mi sforzavo d’accogliere e gestire. Da ragazzo avevo paura, desideravo un confronto e un aiuto. Mia madre sì mi ascoltava ma era protettiva in maniera esagerata e l’ho scoperto con 5 anni d’analisi, mio padre, grandissimo uomo dal carattere burbero e chiuso ( in fondo un romanticone) non ha mai avuto un attimo di tempo per me, ha viaggiato per mezzo mondo ma non mi ha mai portato con sè, se gli chiedevo udienza aveva mal di testa, era incazzato, non era quello il momento. Lavorava duro per assicurare un tetto o più tetti alla famiglia, adorava il suo lavoro e forse non era pronto per fare il Papà, o io me lo aspettavo diverso, sono stato in fondo concepito in viaggio di nozze. Mia madre un giorno mi disse: -Sai Alberto, noi non avevamo mai fatto i genitori, non sapevamo come era e quindi inevitabilmente avremo fatto anche degli errori.
Come molti abitanti del mondo ho sentito talvolta cedere il terreno sotto i piedi.Il grande dolore mi spinse a applicarmi molto nell’Arte anche per il fatto che la figura paterna considerava questa mia scelta un fallimento e non esitava a ricordarmelo non migliorando granchè il mio cammino. Volevo dimostrare che avevo volontà e una direzione/vocazione che scoprii a 3 anni.Che lo crediate o meno, sono una persona molto sensibile che spesso maschera un pò la cosa per autoprotezione, solo chi mi è stato accanto veramente e col cuore ha visto come all’improvviso possa scendere un velo di lacrime sul mio sguardo. Non so fingere.
Gli anni novanta li dedicai all’alcol ( che ho totalmente abbandonato da 20 anni), a Parigi, agli Angeli, a ritrarre personaggi famosi e a definire il mio stile “atemporale e rigorosamente in Bn.
Credo che ci si droghi e si beva perchè in fondo è qualcosa che piace. Poi diviene, in certi casi e non per tutti, un modo per sostenersi nelle difficoltà.
In altri casi, lo si può scoprire in analisi, potrebbe anche essere un modo lanciare un segnale a qualcuno, provi disagio…ti stai annientando …e vedi se ti danno un filo attenzione.
Parigi autoscatto nella macchinetta per strada con la mia immancabile giacca, la camicia bianca e tutto il disagio di chi si stava bevendo veramente troppo
Scrisse bene, centrando il punto la critica Viana Conti:
Alberto Terrile, ricostruttore dell’aura perduta. 1996 (Viana Conti)
Bianco e nero non sono una deprivazione del colore nelle fotografie dell’artista Alberto Terrile: ne sono la saturazione fino al ribaltamento della negazione. L’effetto sullo spettatore è quello che si prova rivedendo oggi un film degli anni trenta: non c’è biondo più incendiario di quello delle star platinate di quegli anni, né curve più rosee di quelle di allora, in bianco e nero. Ma Terrile non è un nostalgico, è al contrario un contemporaneo che ha trovato, attraverso la sua tecnica in camera oscura, la tonalità del suo linguaggio. E’ attraverso di questo che le scale di sicurezza che ombreggiano la facciata di un hotel newyorkese, le biciclette posteggiate di coltello in una strada di Firenze e la segnaletica di Parigi fanno un salto nel passato e da lì impressionano lo spettatore, lo catturano in quell’alone di luce che li rende unici, irripetibili e indimenticabili. La sua capacità di mettere in distanza l’istantaneità del presente ne fa un sensibile ricostruttore di auree perdute. Il senso di irriproducibilità che emana ogni sua foto, contrastando la natura stessa del mezzo tecnico, ne fa un pezzo unico. L’unicità è un effetto da cui la sua opera non può prescindere: sia a livello tecnico che a livello di visione. Il taglio della foto, la schermatura della luce, l’istantanea in posa del soggetto e la stampa a tutto negativo tratteggiano una sorta di ritratto dell’autore, dove elemento saliente è la consegna alla tridimensione della scrittura bidimensionale fotografica.
Nelle sue rappresentazioni il soggetto umano diventa un interno sobriamente arredato, mentre l’interno si fa soggetto spoglio, caricandosi non tanto di segni, quanto della tensione dell’attesa. L’attesa è quella di un evento che non accadrà se non nell’occhio di chi guarda. Non c’è foto nel suo lavoro che rinunci ad annettersi la contemplazione dell’osservatore ed a espandere il suo schermo di proiezione.
E’ come se Alberto Terrile fosse tutti i ritratti che ha scattato, senza distinzione di sesso, come se fosse tutti gli attori, danzatori, cantanti, musicisti, equilibristi, narratori, filosofi, bambini, folli, che il suo obiettivo ha inquadrato e il suo linguaggio riscritto.
E’ come se ogni foto accadesse nello scatenarsi di un temporale: è la sua interiorità che produce il lampo che acceca l’esterno plumbeo, dove i dettagli, tuttavia, si drammatizzano nei contrasti, brillano di luce fredda, dove i banale si carica di assurdo, l’erotismo di poliziesco. Perfino i suoi “angeli”, tematica di una sua recente mostra al museo del Petit Palais di Avignone, disinvolti o corrucciati, in ascesa o in discesa, non intendono liberarsi della propria ombra, sembrano anzi esserne il pretesto.
Non è infrequente che l’artista operi uno scambio di aura, immettendo le star internazionali in un clima quotidiano, domestico, quasi a restituir loro l’intimità perduta negli impudenti attacchi dei mass-media, mentre i soggetti anonimi vengono caricati di destino, intensità, futuro.
Spostandosi da una metropoli all’altra, cogliendo soggetti in fuga o in posa, l’artista genovese non si automatizza nel click, ma presta il suo occhio all’obiettivo rispettandone anche, in qualche modo, l’autonomia. Questo a sua volta, riconosce in soggetti, oggetti, ambienti, strade urbane, il vissuto dell’autore, leggibile in un’interminabile storia di scatti.
Negli ultimi 21 anni ho scoperto una cosa meravigliosa. Dare è infinitamente più bello che ricevere. L’insegnamento mi ha realmente formato.
L’insegnamento crea tutte le altre professioni e educa chi lo pratica nel medesimo istante perchè è relazione, proprio come la fotografia che resta l’amore della mia vita.
In questi mesi di dolore per tutte le cose che stavano piovendo da più fronti ho provato l’insonnia, la prostrazione più profonda, l’inappetenza e poi sono ripartito piano piano con la fine delle vacanze Pasquali a insegnare. Tutto è partito da lì. Ho classi con numeri improponibili talvolta. Tenere attenti x 4 ore che fanno 240 minuti 52 studenti, il 90 % Millenials ( ora mi concedo una licenza generalizzando un filo per essere più esaustivo) abituati alla velocità del web , alla scarsa concentrazione generata dai dispositivi non è affar semplice credetemi occorre molta energia e amore.
Lavoro a memoria, improvviso totalmente tutto, se m’accorgo che sto perdendo una parte di classe infilo una battuta improvvisata ,cambio registro e magari argomento per recuperare coloro che stanno naufragando in Istagram.
Non ho mai insegnato ai miei allievi; ho solo cercato di fornire loro le condizioni in cui possono imparare, questo affermava Albert Einstein.
Amo insegnare e mi piace far innamorare della fotografia ogni anno qualcuno.
Ieri era martedì e non dovevo insegnare ma una mia studentessa che mi ha scelto correlatore doveva scattare le foto per la sua tesi, un progetto ambizioso e piuttosto difficile. Quando scoprii che pensava di arrangiarsi in casa con un lenzuolo scossi la testa. Non erano le condizioni per poter fare il lavoro giusto per l’argomento che si era prefissata. A differenza di altri studenti che entrano a gamba tesa nella tua vita scrivendoti alle 3,20 di notte magari dopo aver preso l’ennesima ripetizione d’educazione sessuale su PornHub finendo poi inevitabilmente a risultare fuori luogo quando entrano in gioco anche i sentimenti, Giulia negli anni s’è sempre distinta per garbo e delicatezza senza pretendere che io fossi sempre disponibile per lei, come le scrissi, “arrivi sempre in punta di piedi“. Non pensiate che sia una giovane che tremola come fogliolina al vento ( forse in privato ) è piuttosto decisa e diretta . Ieri ho quindi aperto il dipartimento, l’aula di posa, montato le luci e in compagnia di Vanessa sua compagna di scuola abbiamo lavorato sodo sino alle 19,15 ascoltando i Rolling Stones. Ho guardato le foto che preparavano, ho corretto l’assetto delle luci, abbiamo concertato quali tagli in ripresa potessero render meglio il senso di ciò che Giulia vuole esprimere per la sua tesi e il tempo è trascorso in modo creativo e gioioso.
Ci siamo alla fine fatti una foto assieme sul set.
La cosa bella di insegnare è vedere i loro volti sorridenti che ti incitano a continuare e far sempre meglio e poi c’è il lato nascosto, quello che è nel mio messenger o che cavalca delle piccole chiacchere appartati su una scala. Ho l’età dei loro genitori, talvolta sono più vecchio, li osservi mentre ti dicono d’aver un problema con una sostanza tossica o con la figura paterna/materna che non li ascolta, li critica e talvolta li percuote. Ti senti un mix tra William Burroughs & Don Bosco in chiave minore e sai che anche se non sei riuscito a costruirti una famiglia e nessuno t’aspetta a casa sai che lì, a scuolali trovi loro ai cancelli come se fossi Eddie Vedder che incontra i fans ( spesso ho camice a quadri, quella bianca la sfoggio talvolta agli esami) .
Forse dò loro fiducia anche per le T SHIRT che mi disegno ? Va tu a sapere come sono fatti questi giovani ;-)
2 Comments
claudio
post straordinario Albe, grazie.
c. alias k.
Alberto Terrile
E’ solo la mia vita Klaus, poteva esser peggio ma anche meglio no? L’importante è capire come funziona sto gioco. Keith Richards disse:- “Ho vissuto a modo mio, e sono qui perchè mi sono preso il disturbo di scoprire chi sono”.