Ray Manzarek
Genova
5 luglio 2001
Ray Manzarek
Giorgio era tornato da poco da Parigi, dove aveva trascorso una vacanza studio portando con sé un nuovo disco, il terzo della sua futura collezione. Il suo professore di francese, un personaggio brillante, gli aveva fatto ascoltare una band di Los Angeles (famosa e oramai sciolta) che coniugò la poesia, all’irruenza eversiva della musica rock.
“Siamo nell’autunno 1975 e stiamo ascoltando “13” la prima antologia ufficiale dei Doors (1970). Quel giorno vissi il frammento di un “Indian Summer” e avvicinai la magia di “Light my fire”, guidato dal canto profondo di Jim Morrison, mentre venivo assorbito dal moto spiraliforme della farfalla multicolore disegnata sull’etichetta del disco.” *
L’estate genovese, ricordo era il 5 Luglio 2001, stava volgendo al caldo. Sedevo per terra, nel foyer del Teatro della Corte, con i miei apparecchi fotografici di fronte a Ray Manzarek.
Il tastierista dei Doors, aveva scelto il Festival Internazionale di Poesia di Genova come unica tappa europea per il tributo a Jim Morrison. Il programma della serata prevedeva l’esecuzione dal vivo con pianoforte a coda di alcuni celebri brani dei Doors, oltre ad un’improvvisazione su un inedito poema di Jim Morrison, tratto da una rara registrazione del 7 dicembre 1970, quando il cantante affittò uno studio di registrazione per recitare le sue poesie.
Al termine della conferenza stampa, Mr Manzarek si avviò verso la sala per il soundcheck, i nostri sguardi incrociarono l’uno il sorriso dell’altro e, con un cenno del capo, mi invitò a seguirlo.
Una figura dell’adolescenza, protagonista dell’esplosione californiana di psichedelia benedetta dallo spirito di William Blake e A.Rimbaud, mi fissava seduta al pianoforte e…stava per iniziare a raccontarmi una storia:
“Un giorno arrivò in studio Robbie (Krieger- chitarrista dei Doors) con lo spunto per un nuovo pezzo:- Ragazzi, sentite questa! Cominciò a suonare una canzone con una pennata indolente e un triste andamento country. Pensai che così il brano era veramente terribile, non funzionava, necessitava anzitutto di una figura ritmica. Iniziammo a lavorarci su, spogliammo il brano di quell’abito per dargli un’altra veste, poi ci accordammo per rivederci in sala prove, la settimana successiva. Il proposito era che ognuno avrebbe dovuto portare da casa delle idee per quella canzone. Allo scoccare dei sette giorni, successe un po’ come a scuola: nessuno arrivò con il compito fatto ma, nonostante ciò, cominciammo a suonare e il brano iniziò a prendere forma. Jim, con gli occhi chiusi, le mani serrate sul microfono, torcendosi come in una trance, inventava delle strofe.
Il pezzo ora funzionava…ma sentivo che mancava ancora di qualcosa: un intro efficace per essere proiettati in quel brano. Mi occorreva un’ intuizione!
Allora ripensai al passato, a me bambino intento a studiare il pianoforte classico e d’improvviso l’ispirazione bussò alla porta: “Perché non principiare con una sorta di ciaccona o qualcosa del genere nello stile di Bach?
Il volto di Ray s’illuminò, svelando negli occhi il lampo del ragazzo d’allora, mentre velocissimo eseguì la serie delle celebri note, facenti ormai parte dell’immaginario collettivo. Poi proseguì:- Vedi, se la stessa sequenza che stai ascoltando la suoni invece che su un piano a coda su un organo elettrico pensando al suono di Jimmy Smith….il gioco è fatto!!!
Ecco come è nata “Light my fire.”
*il logo della Elektra Records
Link al clip per promuovere il mio libro Poeti Immaginati da cui è tratto il testo che avete letto
Realizzata con: Hasselblad 500 cn e Contax rts II
Pellicola: Kodak T Max 400 e Kodak T max 3200
Anno: 2001
Luogo: Genova
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