L’ottantesimo compleanno di Elvezia
Genova
5 febbraio 1992
La mente compie un piccolo balzo e torna nella luce bianca del sole d’inverno per ricordare l’ottantesimo compleanno della nonna materna, Elvezia Tirone.
Lo sguardo a ritroso mi mette innanzi a una questione sostanziale, quella della luce naturale. Quando iniziai a fotografare non mi era possibile far altro che usare la luce del sole non disponendo di studio e quindi di illuminatori. L’esperienza professionale milanese mi fece capire che la fotografia commerciale necessitava di tutto ciò di cui io non disponevo a cominciare dalla “forma mentis” .
Osservo la posa di mia nonna, leggo netta negli occhi come nella postura un’amorevole disponibilità nell’assecondare la mia idea di fotografarla in quella speciale ricorrenza senza alcun preavviso. In verità non ricordo in lei, a differenza di mia madre, un solo “no” innanzi a qualsiasi mia proposta fotografica. Era sempre pronta a prestare il volto, le mani o l’intera figura a qualsiasi mio progetto.
Ritrovo la donna colta che trascorreva le sue ore sui libri , distante dalla televisione che è stata a lungo e più della radio la dama di compagnia delle persone sole. Le mani sono disposte per sorreggere il viso senza alterarne i tratti, una posa scelta dal soggetto che lascio da sempre libero in tutto.
Quando ritraggo, la mia tensione è rivolta a “vedere” al di sotto di tutto ciò che vive per cogliere ciò che agli occhi non appare. Questo è un paradosso visto che , sin dalla sua nascita, la fotografia venne salutata come la téchne che avrebbe finalmente restituito un’immagine oggettiva delle cose.
Fotografare significa in qualche modo mutare di forma ciò che si fotografa; e non tanto quella dell’oggetto visibile, che è un corpo, che è materia, ma trasformare la forma di quell’invisibile che lo sottende, e che emerge attraverso il processo di ri-velazione.
Ri-velare: scoprire ciò che era velato, fuori vista, segreto, “Rendere visibile l’invisibile” disse Paul Klee.
L’anima è velata, fuori vista, segreta e invisibile ma, grazie all’artista, diviene evidente : “Visibile”.
La fotografia che è in grado di rivelare qualcosa racchiude, ma ancor più custodisce, un’altra trasformazione più intima e importante. E’ quella che avviene nel fotografo che, grazie all’atto creativo e rivelatorio, mette in atto un’azione conoscitiva in grado di cambiare se stesso. ( 1)
Poco dopo il ritratto in 135 mm, presi l’Hasselblad e chiesi a mia madre di posare con lei, suggerii un’abbraccio anche perchè fossero molto vicine l’una all’altra visto che soli diciannove anni li separavano .
La mente compie un piccolo balzo e torna al cospetto della luce bianca del 1992. Mentre seguo i tratti del volto con le dita, come farebbe un bimbo, sento che l’inverno d’oggi abbraccia e contiene l’inverno d’allora.
(1) estratto del mio articolo E’ COSI’ CHE APPARI / IL RITRATTO FOTOGRAFICO
https://cartesensibili.wordpress.com/2016/09/28/alberto-terrile-e-cosi-che-appari/
Realizzata con: Contax RTS II e Hasselblad 500 cm
Pellicola: Kodak T Max 400
Anno: 1992
Luogo: Genova
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