Le botaniste
Les Aigues vives 1994
Luglio 1994
Nel Marzo 1993 mi trasferii a vivere a Parigi. Fu un’esperienza marcante
dopo il praticantato svolto come assistente fotografo per la moda in un noto
studio fotografico milanese.
La città di Genova non offriva allora la possibilità nell’ambito della fotografia
di confrontarsi con una dimensione di respiro internazionale.
Allargare la nostra prospettiva ci rende maggiormente consapevoli che il
mondo è infinitamente più vasto.
Nella capitale francese ebbi modo di mettere a registro le mie istanze creative,
iniziare il lavoro sulla figura dell’Angelo nella contemporaneità oltre a
comporre una rete di relazioni che mi portarono come logica conseguenza a
trascorrere molte estati nel sud della Francia nella masseria gestita da due
pittori, Angele e Jackie Winsberg.
Scompigliati dal Mistral, con le bocche profumate di anice abitavamo una
sorta di magico sogno di mezza estate.
Vivevamo tutti nella tenuta sita nella zona di Aigues-Vives, c’erano pittori,
danzatori e coreografi, molti musicisti e un fotografo.
Si parlava prevalentemente il Francese e lo Spagnolo.
La masseria viveva un continuo andirivieni di persone, alcuni si portavano
appresso la famiglia. C’erano quindi anche parecchi bambini che divennero
ben presto soggetto di molte mie fotografie.
Mangiavamo tutti assieme nel patio di Jackie e Angele, ci scambiavamo
esperienze e condividevamo progetti lontani anni luce dalla dimensione
attuale così sporca di autoreferenza e traghettata ogni dove da internet.
Ognuno manteneva le sue radici culturali e il suo approccio creativo per
arricchire l’altro e mai per scavalcarlo.
Ero stato soprannominato “il piccolo italiano”. Sempre pronto a documentare
fotograficamente persone, luoghi, eventi o a duettare con il mio set
d’armoniche e la voce con i musicisti che passavano di là.
Col senno di poi, in quelle vere estati incantate, posso affermare di aver
suonato con importanti jazzisti francesi, col produttore di Charles Aznavour e
con il percussionista di Jean Michel Jarre.
Jackie Winsberg, il pittore che ci ospitava condivise una lunga e profonda
amicizia con Jean Cocteau.
Trascorsi così molte sere ad ascoltare i suoi racconti di bohémienne. Erano
tiepide serate d’estate illuminate da mille candele con gli alberi che come un
merletto tessevano il cielo
Ora cerco di spiegar meglio il senso di questo lavoro, “Le Botaniste” rimasto
inedito per oltre ventotto anni
Il passaggio di Pasolini dalla letteratura al cinema fu a suo tempo uno dei
fatti più nuovi e imprevedibili nella cultura italiana del Novecento. Inevitabile
per me compararlo a quello che successe in Francia con Jean Cocteau.
Volontà e Visione sono sempre state le componenti delle mie immagini.
Volontà di essere anziché apparire e dare forma all’essenza delle cose. Lascio
molto libero chi ho innanzi.
Ogni soggetto, ogni oggetto, ogni evento finisce per trovare nelle mie
fotografie il suo luogo.
Per le mie rappresentazioni, proprio come per molto cinema di Pasolini, non
ho mai scelto modelli professionisti attingendo a piene mani dalla vita e dalle
persone che la popolavano.
C’era nel nostro gruppo anche un botanista che seguiva le serre di Jackie,
amavo in particolare quella delle piante carnivore che mi ricordavano un bel
disco, “Fleur Carnivore” di Carla Bley, pianista e direttrice d’orchestra che
molti anni dopo, finii per ritrarre.
Tornando al “botanista” mi accorsi immediatamente della sua passione per
un giovinetto che lo aiutava e decisi quindi di realizzare una storia che
raccontasse questo slancio
Ricordo nettamente che impregnato di Cocteau che ammiravo andai s
candagliare alcune mie influenze per dialettizzarle: il cinema di Pasolini e l
‘Arte barocca.
Con questo tesoro culturale in testa realizzai la serie fotografica inedita e mai
esposta che ho portato a Spazio 21
Scelsi di chiudere la storia con una personale citazione dal mito di Narciso
incarnato dal botanista.
Narciso, chinandosi su una fonte di acqua limpida, vide riflessa la propria
immagine e se ne innamorò perdutamente.
Il mito non finisce con la morte, ma con una morte che si trasfigura in
qualcosa d’altro.
Alla morte dell’io, troppo centrato sulla dimensione personale, subentra un
occhio aperto alla dimensione poetica, sacrale e simbolica della vita.
Realizzata con: Hasselblad 500 cm
Pellicola: Kodak T Max 400
Anno: 1994
Luogo: Les Aigues Vives
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