Arte, Mostre
LUCCIOLE / SAN VERO MILIS / DROMOS FESTIVAL
Oggi ore 19,30 si inaugura . Non ci sono io di persona ma le mie immagini sì e questo, è ciò che conta . ❤️
LUCCIOLE
Oggi a San Vero Milis (Or), alle ore 19.30 presso il Giardino del Museo, l’inaugurazione della mostra di arti visive “Lucciole” a cura di Anna Rita Punzo e Ivo Serafino Fenu apre la ventitreesima edizione del festival Dromos.
In esposizione i lavori di dodici artisti del panorama contemporaneo: Filippo Franco Boe, Antonello Fresu, Daniela Frongia, Michele Marrocu, Narcisa Monni, Monica Mura, Gianni Nieddu, Sabrina Oppo, Veronica Paretta, Josephine Sassu, Pietro Sedda e Alberto Terrile.
Lo spunto viene da un articolo del 1975 in cui Pier Paolo Pasolini affidava alle pagine del Corriere della Sera il suo “accorato canto funebre per la scomparsa delle lucciole”, come scrive Anna Rita Punzo, curatrice insieme a Ivo Serafino Fenu della mostra che si inaugura oggi (25 luglio) a San Vero Milis, per restare aperta fino al 31 agosto: taglio del nastro alle 19.30 nei suggestivi spazi delle chiese sconsacrate dedicate alle Anime e a San Salvatore, nel giardino del Museo Civico, alla presenza del sindaco di San Vero Milis, Luigi Tedeschi, e dell’assessora alla cultura Maria Cristina Cimino.
In esposizione i lavori di dodici artisti del panorama contemporaneo: insieme alle installazioni site specific di Josephine Sassu, Sabrina Oppo, Daniela Frongia, Michele Marrocu e Veronica Paretta, si potranno apprezzare una selezione di opere fotografiche di Alberto Terrile tratte dal repertorio del trentennale progetto “Nel segno dell’angelo”, le “Cartografie Corporali” di Monica Mura, lavori editi e inediti di Filippo Franco Boe, Narcisa Monni e Gianni Nieddu accanto ad altri tratti dalla ricca e poliedrica produzione artistica di Pietro Sedda e di Antonello Fresu.
Per Pasolini “le lucciole, vittime dell’inquinamento”, spiega Anna Rita Punzo nel suo testo di presentazione della mostra, “sono simbolo e metafora di un genocidio socio-culturale efferato: la morte del paesaggio naturale e dei tratti più squisitamente virtuosi e preziosi dell’animo umano, annientati dalla feroce luce abbagliante del potere e dalle tenebre dell’industrializzazione neocapitalista che corrompe e omologa”. Il grande regista e intellettuale, che sarebbe tragicamente scomparso in quello stesso 1975, nove mesi dopo quel profetico articolo, interpretò l’estinzione delle lucciole come “metafora di un genocidio culturale e democratico ai danni della civiltà contadina, cancellata dai processi omologanti dei mass media e attuato da un nuovo ‘fascismo democristiano’, più subdolo, pericoloso e pervasivo del precedente”, come sottolinea Ivo Serafino Fenu. “Oggi le lucciole, quelle vere, non sono scomparse e continuano ad abitare spazi poco abusati dagli uomini”: l’orizzonte apocalittico evocato da Pasolini quasi mezzo secolo fa, “appare rischiarato dalla consapevolezza che le lucciole non si sono estinte, malgrado tutto esistono, malgrado tutto resistono, abitano i luoghi in cui la pressione antropica si allenta, in cui il silenzio invita alla meditazione, alla corrispondenza d’amorosi sensi con la natura; dimorano nell’ispirazione autentica, nel pensiero creativo, nell’atto artistico che traduce l’effimero e il trascendente in sensibile e percepibile.”
Le lucciole per Dromos – evocate dallo scatto del fotografo creativo Alberto Terrile scelto come effigie del festival – saranno allora immagini polisemiche e metaforiche in cui confluiscono idee, virtù ed esistenze animate dal coraggio, dalla capacità di non arrendersi, di restare e perseverare, nonostante la loro fragilità. “Proprio nella dimensione della fragilità, del resistere nonostante tutto, della marginalità esistenziale capace di emanare ancora una sua debole luminescenza”, scrive Ivo Serafino Fenu, “la lucciola torna a diventare metafora, e Pasolini epifanico e profetico attraverso il linguaggio dell’arte.
Gli ‘Angeli’ di Alberto Terrile in primis: così pasoliniani nella loro verità fisica e nella loro dolente umanità, nel loro essere ‘angeli di vita’ e così seducenti, di una bellezza che pare evocata da un pennello preraffaellita”.
Angeli e lucciole hanno nella luce l’elemento che li accomuna, ma tra le opere esposte a San Vero Milis, il “Lucifero” di Sabrina Oppo è un buco nero che implodendo su sé stesso fagocita tutto e tutto consuma: il superbo Portatore di luce diventa allora Signore delle tenebre. Nel lavoro di Daniela Frongia, le trame luminose e immateriali tracciate dalle lucciole in amore vengono tradotte in dinamiche traiettorie di filo che fendono l’aria, si espandono e contraggono, scandendo nello spazio vuoti fisici e concettuali, assenze e invisibili presenze. Il Magnificat di Antonello Fresu è invece un affresco digitale in slow-motion della società consumistica e distratta che relega ai margini della frenesia quotidiana il silente e dignitoso bagliore di chi sopravvive, di quella umanità, tutta pasoliniana, brulicante di mendicanti d’amore, candidi e ingenui come il Francesco Recupero di Filippo Franco Boe, e prostitute di periferia, frivole e drammatiche come le giovani lucciole di Narcisa Monni. Con Monica Mura il corpo femminile non è più involucro esposto e mercificato, ma oggetto e soggetto del costante dell’inarrestabile lavoro di limatura del tempo che segna, solca e inesorabilmente consuma.
Un’estrema fragilità è anche quella di un corpo che si spegne, l’immagine cruda di una mano martoriata dalla malattia, inerte sulle fredde lenzuola di un letto d’ospedale: Bidibibodibidù di Pietro Sedda è un’invocazione per un miracolo che non si avvererà. Resta la memoria, le trame di ricordi tessuti dalle lucciole di Gianni Nieddu, che posandosi sui caratteri stampati dell’epitaffio pasoliniano li celano alla vista, costringendoli a un silenzio che amplifica eloquenza, significato e significante dei versi riscritti. Anche Michele Marrocu gioca con le parole: i suoi lumi evocano le interpretazioni fallaci che sottendono al famoso modo di dire Prendere lucciole per lanterne e traducono fatti, eventi, persone e personaggi in tenui bagliori. Altri, infine, sono i giochi ricordati da Josephine Sassu (in “Volevo volare”) e Veronica Paretta (“Tutti giù per terra”), così simili nell’alimentare la scintilla d’innocente fanciullezza che illumina l’anima, così diverse nel rivolgere i propri sguardi verso orizzonti opposti.
Così la mostra curata da Anna Rita Punzo e Ivo Serafino Fenu intende sceverare le tante possibili interpretazioni di un tema tanto complesso quanto eclettico in un percorso espositivo attraverso le opere di questi dodici artisti: “dodici lucciole, dodici coraggiosi messaggeri di luce che sfidano le tenebre della quotidianità che ci avvolge per unirsi in una narrazione intima e corale, capace di colmare l’apparente divario luce-tenebre cui sottendono le rigide ed effimere dicotomie bene-male, morale-immorale, puro-corrotto”.
Aperta fino al 31 agosto, la mostra si potrà visitare, con ingresso libero, ogni giovedì, venerdì e sabato dalle 18 alle 20; visite possibili anche in altri giorni, su prenotazione, per gruppi di almeno quattro persone, telefonando al numero 078353611. Accesso limitato e distanziato, nel rispetto delle norme anti-covid.
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