Arte, Interviste
L’attesa
TESTO SCRITTO PER LA RIVISTA LA TIGRE DI CARTA NUMERO DEDICATO ALL’ ATTESA
L’attesa viene spacciata come passività e dimenticata appena muore.
Nelle nostre piccole vite , se riflettiamo , spesso dobbiamo attendere.
Aspettiamo che l’acqua bolla, aspettiamo l’autobus, la persona ideale, l’offerta di lavoro, l’esito di un esame o la telefonata che
potrebbe cambiare il nostro destino.
Esiste l’attesa, quasi contemplativa del seminatore che ogni tanto guarda la terra per aspettare i primi germogli e l’attesa carica
d’adrenalina di chi sta per calcare un palco e incontrare il pubblico.
La nostra intera esistenza è composta di piccole e grandi attese, nella speranza che accada qualcosa che potrebbe non accadere
mai, o semplicemente non accadere come noi speriamo che accada.
Wittgenstein nelle “Ricerche filosofiche” scriveva Noi aspettiamo questo e siamo sorpresi da quello.
“La natura che parla alla macchina fotografica è una natura diversa da quella che parla all’occhio; diversa specialmente per
questo, che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall’uomo, c’è uno spazio elaborato inconsciamente. Se è del tutto
usuale che un uomo si renda conto, per esempio, dell’andatura della gente, sia pure all’ingrosso, egli di certo non sa nulla del loro
contegno nel frammento di secondo in cui si allunga il passo. La fotografia, coi suoi mezzi ausiliari: con il rallentatore, con gli
ingrandimenti glielo mostra. Soltanto attraverso la fotografia egli scopre questo inconscio ottico, come, attraverso la psicanalisi,
l’inconscio istintivo.”
(W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, 1931)
Quando scatto un’immagine con la mia fotocamera caricata con la pellicola non posso vedere immediatamente il risultato, debbo
attendere di sviluppare il mio negativo.
Non sempre il processo di sviluppo può compiersi immediatamente o nell’arco di pochi giorni, talvolta è dovuto trascorrere anche
un mese prima di poter scorrere con un lentino i miei negativi per comprendere cosa era degno di venire stampato.
E’ stato così quando più giovane ero a New York a Parigi a Berlino a Bagdad, in Islanda .
E’ così anche oggi perché la mia vita ha due grossi impegni, da una parte il supporto a due genitori anziani** che mi hanno dato la
possibilità di studiare , dall’altra, la didattica all’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Cosa accade dopo aver scattato una fotografia?
Nel tempo dell’attesa torno con la mente nel luogo dello scatto, rivedo la scena e le persone che la popolavano.
Sdraiato sul letto con gli occhi chiusi compio una sorta di viaggio extracorporeo attraverso il tempo. Con il pensiero vado a
verificare l’ordine delle cose al momento dello scatto. Come fossi una moviola scandaglio la scena per mitigare l’ansia del
risultato.
Quando l’immagine verrà sviluppata potrò finalmente mettere a registro quasi io sia il telaio di una serigrafia ciò che avevo
“ripensato/rivisto” .
Potrò scoprire quanto la rete del negativo abbia trattenuto del mio vedere nell’istante in cui l’otturatore ha regolato lo scatto..
Nel 1994 ero alla 50ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove Robert Altman avrebbe vinto il Leone d’ oro
con America oggi (Short Cuts ).
Lo incontrai al lido, avevo visto e amato molti suoi film. Con l’innata timidezza che m’accompagna gli chiesi se aveva qualche
minuto per posare per un ritratto in pellicola.
Mi rispose con gentilezza che aveva un appuntamento ma se avessi avuto la pazienza di attenderlo, dopo, avrebbe posato per me.
Mi sedetti a un tavolino, poco distante dal regista intento a parlare con una donna, credo fosse un agente.
Nel mentre avevo controllato il mio apparecchio scoprendo di aver ancora un solo scatto dell’ultima pellicola formato 120mm.
Quel giorno ero riuscito a ritrarre parecchi personaggi finendo i rulli che mi ero portato dietro.
Era una situazione davvero imbarazzante trovarsi con un unico scatto in camera. Incautamente quando interpellai il regista che
mi era apparso vestito di bianco in una sorta di “laica trasfigurazione” l’emozione aveva prevalso su tutto .
Osservavo la scena come stessi assistendo a un film . Questo è da sempre il mio modo di guardare la realtà.
Ad un certo momento il regista diresse l’ azzurro del suo sguardo in quello della sua interlocutrice che vedevo di spalle.
Il mio dito premette istintivamente il pulsante e l’otturatore scattò. In quel preciso momento m’ero giocato Robert Altman.
Solo al rientro a Genova, dieci giorni dopo ebbi modo di scoprire che non avevo sbagliato la foto e che l’inconscio ottico di cui
parlava Benjamin mi aveva regalato una rete di sguardi di due altri personaggi che erano nello sfondo.
Per chi desiderasse sapere cosa feci dopo risponderò che vergognosamente mi sfilai dalla scena senza fornire giustificazione
alcuna, del resto chi ero io a quel tempo ?
Ero solo uno dei settecento fotografi accreditati alla mostra del Cinema di Venezia, uno dei tanti volti anonimi con appeso un pass
con nome e cognome.
Le immagini scattate vengono consegnate all’eternità mentre sia i soggetti che il fotografo sono destinati
a consumarsi lentamente e scomparire!
** Il 23 Novembre 2021 all2 2,33 mia madre Rosanna Tirone è mancata.
A lei feci la mia prima foto con una macchina in prestito.
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