Varie
Frank Gaudlitz
Grazie oltre agli allievi a quanti sono saliti nella Genova alta, sino al castello per sentirmi promuovere, per la seconda volta con una lezione aperta al pubblico la mostra di Frank Gaudlitz.
Il lavoro di ritrattistica del fotografo tedesco, concordato con i soggetti, mostra una parte dell’europa che crediamo grigia mentre è colorata e ancora non globalizzata, un vero vento fresco la dignità con la quale posano nel loro “salotto buono” mentre oggi le nostre case si assomigliano un pò tutte perchè siamo colonizzati dall’Ikea e devoti a nuovi Dei come l’I-phone 5 e Instagram. Tutti a muovere assieme le dita a forbicina…noi siamo nell’era della Phonegrafia mentre Gaudlitz ha ritratto tutto in pellicola,senza luci con cavalletto e pose lunghe…..che MERAVIGLIA….come il suono di un VINILE!
E ora per coloro che vibrano innanzi a troppi reportages su gente che soffre, che ha fame e sete, che piange perchè ha perso tutto….una lettera di ANDO GILARDI
Ando Gilardi nacque ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, nel 1921.
Muore il 5 marzo 2012 all’età di 91 anni.
Il giugno del 2011 per il proprio novantesimo compleanno, ha scritto :
“Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte.
… Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime delle droga, gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perchè non possono respingerti.
Non fotografare la suicida, l’omicida e la sua vittima.
Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo.
Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già sopportato la violenza non aggiungere la tua. Loro debbono usare violenza, tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme.
Non perseguitare con i flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungere le tue fotografie.
Non fotografare la madre dell’assassino e nemmeno quella della vittima. Non fotografare i figli di chi ha ucciso l’amante, e nemmeno gli orfani dell’amante. Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso.
Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del diritto all’informazione. Se è davvero l’umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.
Non fotografare chi fotografa; può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale.
Come giudicheremmo un pittore in costume bohémien seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine??
Perché presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appese al collo e un flash sparato possano giustificarti?”
foto Daniele Dandretti
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