Varie
Felici per sempre
Paola S. Estate 2013
Il segno invariabile della saggezza consiste nel vedere il miracolo in ciò che è comune. Che cos’è un giorno? Che cos’è un anno? Che cos’è un’estate? Che cos’è una donna? Che cos’è un bambino? Che cos’è il sonno? Alla nostra cecità, queste cose sembrano prive di valore. Noi raccontiamo favole per nascondere la povertà del fatto e conformarlo, come noi diciamo, alla più alta legge della mente. Ma quando il fatto è visto alla luce di un’idea, la favola sfarzosa scolorisce e avvizzisce. Contempliamo la vera, più alta legge. Per il saggio perciò un fatto è vera poesia, e la più bella delle favole.
R.W Emerson Natura (1836)
L’ultimo ricordo che ho di Paola risale ai suoi sedici anni, era l’amica di mia sorella, giocavano nella piazza assolata del paese in quelle che complice il ricordo, non esito a ricordare come “estati magiche” .
Un tempo a Iola c’erano tanti bambini che si trovavano in quella piazza, amavano divertirsi assieme sino a quando la luce del sole non scendeva per nascondersi tra le querce e i castagni accompagnata dalle grida di nonne e madri che ci ricordavano che era giunta l’ora di rincasare. Per cena si mangiava: riso con le zucchine dell’orto, fagiolini e patate bollite con la formaggetta di mucca, crescentine col prosciutto e polenta col ragù, anche d’estate.
Qualcuno costruiva capanne sugli alberi, altri si dilettavano a nascondino e scappavano a rintanarsi nel fienile mentre i più audaci cominciavano a sperimentare i primi baci e qualche timida carezza.
Se avevi caldo potevi dissetarti alla fontana che stava all’ombra di un albero mentre chi aveva due spiccioli poteva permettersi il ghiacciolo dall’Antonietta.
Il juke box suonava con poche monete i successi dell’estate ma aveva in canna anche polke e mazurke per gli amanti del liscio, Castellina Pasi, Gigi stock e la sua fisa, Raoul Casadei, questi erano i bardi.
Paola ha un fermaglio nei capelli, siede su un muro dal quale fa ciondolare le lunghe gambe fasciate dai jeans mentre Eleonora, mia sorella, le racconta concitata del profumo che mio padre le aveva appena portato da un viaggio : Cialenga di Balenciaga. Quell’essenza che si rovescerà poi poco tempo dopo su un tavolo di legno fuori della nostra casa sarà il ricordo di ciò che per due ragazzine adolescenti assunse le proporzioni di una catastrofe.
Io ho sempre avuto quattro anni più di Paola e undici centimetri in meno di statura, questo forse l’autorizzava a canzonarmi ripetendo con cantilena toscana : Piccirullo….piccirullo!
Il canto del gallo nel mattino è la misura della lontananza, quel distante che pensi potrebbe fare capolino dietro l’angolo. Ognuno di noi ha un posto speciale dal quale vorrebbe veder sbucare qualcosa o qualcuno, per me c’è lo sguardo con l’abbozzo di un sorriso della Berta che in silenzio appoggia una fetta di torta di mele sul mio davanzale.
A trentadue anni di distanza io e Paola ci siamo rivisti . E’ arrivata con l’auto da Pistoia sino al paese e ha posteggiato nella piazza vuota e assolata, poco distante dalla fontanella che oggi non ha più l’albero che le faceva ombra.
Ha imboccato la stradina che per anni percorreva per raggiungere mia sorella, quel viottolo ripido che dalla chiesa porta ancora a casa nostra. “Vedrò se mi ricordo la strada”.
Le vado incontro.
Oltre il tunnel di Lewis Carroll, quel piccolo stradello che scende nel boschetto diviene la metafora di un viaggio con la macchina del tempo.
Accelerazione.
Partenza.
Destinazione.
Dopo un genuino scambio di sorrisi per la gioia di ritrovarsi l‘interrogativo di lei parte diretto come un razzo in cielo :- Ma io ti ero parecchio antipatica vero?
Il tempo di spiegare con candore che a quel tempo non è che fossi poi molto sicuro di me, quindi quel suo prendermi in giro per la mia esigua statura mi metteva in serio imbarazzo. Da quel momento le storie di una vita precipitano in un bacile di tempo raccolto in una domenica di fine estate. Poco distante un bimbo riccioluto domanda alla nonna:- Ma è vero che se la Maria tira il collo al gallo il tempo si ferma e noi restiamo qui, felici per sempre?
6 Comments
paolasinibaldi
Eh si, quel viottolo che porta a casa tua, dove ci siamo rivisti dopo svariati anni, mi è sempre rimasto impresso nella memoria…quando lo percorrevo, per venire a casa vostra, mi sembrava lunghissimo: ero avvolta dalla vegetazione..riconoscevo il nocciólo le felci, i castagni e tutto quel verde, quei rami e quegli odori mi inebriavano. Dalle note di Santana che uscivano dalla tua mansarda mi sentivo attratta e la tua casa mi appariva come incastonata in quella cornice di prati e montagne. Scorgevo il bellissimo sorriso di Eleonora e montagne
paolasinibaldi
Di verde circondavano le nostre passeggiate…poi arrivavi tu, quasi come un giocoliere esperto riuscivi ad incantare con il tuo essere vivace,spontaneo ed un po’ magnetico; i tuoi occhi, così azzurri che si stagliavano perfettamente con la luce di quelle estati lontane, ho potuto constatare che sono rimasti gli stessi
paolasinibaldi
Il 31 agosto,quando ci siamo rivisti,non c’erano più quei due ragazzini di una volta,ma due adulti che sono riusciti a riprendere un discorso e devo dire che stando sola con te,sono riuscita a cogliere una dolcezza ed una sensibilità che da piccoli, forse, non riusciamo ancora a percepire. Grazie Alberto
albertoterrile
Crescere è prendere consapevolezza delle cose in modo sano. Piccirullo ha fatto pace con il suo naso storto e grosso e con la sua statura. L’ultima volta che mi sono lasciato ferire è stato nel 2004 quando la fidanzata commentò :- Non ho mai avuto un uomo così basso. Ciò che per lei fu constatazione per me suonò un tristemente offensivo ( ma qui entra in gioco la percezione che abbiamo di noi stessi).
Crescendo si apprezzano sfumature che prima neppure notavamo. La sensibilità dell’altro è qualcosa ad esempio che noteremo (mi auspico a livello mondiale) trascorrendo di decina in decina la nostra esistenza.
Da ragazzo dei fiori notavo i colori a livello di macchie, da uomo ne compresi la forma e cominciai a carezzarli con lo sguardo sempre più da vicino. Da più di quindici anni ne sono follemente innamorato. Non ne conosco i nomi ma resto affascinato dalle loro forme, dai colori, dagli insetti che danzano loro attorno, dalle luci che li fanno brillare, dal vento che li scuote e ne porta i semi in giro perché possano riprodursi, dalla pioggia che li piega e li fa tintinnare.
Avete mai prestato attenzione a queste cose o siete troppo occupati a far sì che Instagram mostri dalla nuova zelanda all’Honduras la fetta di torta in modalità grunge che vi apprestate a divorare nel baretto sulla spiaggia dove trascorrete la vacanza più fotografata del secolo?
Non sono belli i tronchi di querce, faggi, larici e abeti? Li avete osservati bene? Nascondono dei volti, delle braccia stese verso il nord, delle gambe che sembrano correre nel cielo a differenza di quelle piantate nella sabbia, c abbronzate in modalità Wurstel alsaziano postate per mostrare che siete ancora in spiaggia in compagnia dell’ultimo libro di Moccia cullati dal romantico tormentone estivo dalle esse sibilanti del Lorenzo nazionale.
Allora le cortecce che si sono staccate e che concimeranno lentamente il terreno possono divenire bracciali e forme di uno strano abito. Non è una questione di grande fantasia sapete?
Da bambino mia nonna faceva coroncine con foglie di castagno e fiori, per questo da trent’anni spesso fotografo donne con in testa i fiori.
Il bambino riccioluto che chiede alla nonna se si può fermare la macchina del tempo per restare nel luogo/attimo in cui si è sempre felici esiste e conserva ancora stupori e sensibilità a discapito di tutte quelle cose che la vita gli ha messo davanti agli occhi, dalla scomparsa prematura di amici cari alle diverse declinazioni del tradimento che lo hanno portato a scegliere di non essere un marito e un padre ma di restare ancora per un po’ un figlio che anziché farsi mantenere o viziare aiuta con delicatezza e guarda con occhio compassionevole e pieno d’amore i suoi genitori che trascorrono l’ultima stagione della vita.
I miei bambini, lo dico senza rimpianti o malinconiche istanze sono i pensieri che metto nei miei taccuini o qui sul diario, tutte quelle immagini che da oltre trent’anni libero come si fa con una farfalla che per qualche istante abbiamo voluto tenere chiusa nel palmo di una mano.
La malinconia talvolta mi viene a fare visita e allora la lascio agire e per non subirla passivamente scelgo di raccontarla attraverso la natura delle cose o le declinazioni degli sguardi delle persone che ritraggo. Credo nella trasformazione.La felicità è uno sprazzo di luce che squarcia il bosco e ci trafigge ma necessita del suo opposto, di quelle nebbie e di quel buio fitto che conosciamo spesso l’inverno che resta la stagione meno amata dai più. Non amare l’inverno è come non voler accettare la vecchiaia….per fortuna la natura non ricorre al bisturi e accetta serenamente il suo destino.
Scriveva R W Emerson in “Fiducia in se stessi”
Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d’occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti. E invece ognuno dismette, senza dargli importanza, il suo pensiero, proprio perché è il suo. E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro.
eleonora
Mi ricordo del profumo Cialenga che Paola, la mia “miglior amica di campagna”, mi aveva fatto scoprire a Iola. Ricordo che ce ne eravamo comprate una boccetta a Montese con i nostri risparmi/paghette. Non ricordo l'”incidente” del profumo rovesciato sul tavolo, ma pazienza. Ho tanti bellissimi ricordi legati a Paola e a quelle estati a Iola. Le nostre giornate in piazza a parlare fitto fitto, i chewingum comprati dalla Romana o portati da sua mamma, quando arrivava da Pistoia. Le canzoni del juke box sentite centinaia di volte (“Un’emozione da poco” di Anna Oxa, “I lupi” di Ivan Graziani). Ricordo che Paola era anche una “sorcina” di Renato Zero, che a me lasciava abbastanza indifferente. Ricordo la prima sigaretta fumata nella stradina, che in realtà era un toscanello che avevo fregato al nostro cugino Lello. Ricordo un’altra sigaretta fintamente aspirata e fumata sulla collina, quando l’erba ancora alta ci nascondeva. Credevamo di essere sole e invisibili, invece Paolo Ferrari ci stava seguendo di nascosto, ma poi aveva iniziato a starnutire perché allergico a qualche erba!
Sono passati tanti anni, ma ora che ripenso sembra ieri.
paolasinibaldi
Che bei momenti…me lo ricordo anche io di quando pensavamo di essere sole invece avevamo alle calcagna tuo fratello con un suo amico! Di te,Eleonora, ricordo la solarità del tuo sorriso, la tua dolcezza accompagnata da una bella personalità. Ti ricordi quando mi descrivevi un vestito marrone che ti volevi far cucire?