Didattica, mitografia del quotidiano, Riposizionare Fotografia
DICEVO GIORNI FA
“Lavorare tanto a progetti creativi mi permette di esser un minimo centrato alla luce degli ultimi anni in cui la mia famiglia ha subito grandi scossoni.
La malinconia, il dolore,certe solitudini e inevitabili vuoti trovano voce nel mio agire.”
Ieri mattina a piedi ( ho percorso 9 km) sono voluto andare a offrire l’ultimo saluto a Carlo, il gigante buono che conobbi appena entrato in Accademia.
Carlo era molto genovese, burbero di primo acchito quando ti bloccava alla guardiola per sapere dove volevi andare all’interno dell’istituto e poi in seconda battuta capace di grandi dolcezze con i suoi enormi occhi azzurri che ti scrutavano come quelli di un bambino.
Un giorno al Cimitero di Nervi ci incontrammo, lui era lì per la suocera e io per mia nonna Elvezia.
Mi presentò con fierezza alla moglie spiegando che ero il prof Terrile e esercitavo nella scuola dove lui lavorava.
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Per mia natura ho sempre provato “vicinanza/consonanza” con un certo tipo di lavoratori ai quali mi sentivo accomunato mentre lavavo i vasconi sporchi di acido della camera oscura dove avevo finito di far lezione.
Discuto e scrivo di Fotografia da un punto di vista più filosofico ma fondamentalmente nel gergo della scuola sono un LABORATORIALE.
Quando finita lezione scendevo di corsa le scale per timbrare il badge con le mani che puzzavano di acido di fissaggio mi scrutava chiedendomi :- Non c’è più nessuno sù vero? Hai chiuso bene tutto?
Ora Carlo non c’è più a chiedere niente a nessuno , come io non sono più li a scendere quelle scale.
L’unica costante della vita è il cambiamento.
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