mitografia del quotidiano
Diario nel principiare del mattino
Mi sveglio sempre attorno alle sei. Scalzo, scendo la scala di legno dopo essermi infilato in un vecchio maglione, la cucina è al piano terra. Accendo la radio e preparo il caffè. Il bollitore scalda l’acqua, lancio un’occhiata alle luci natalizie poste sulla finestra della sala. Sono lì dal duemilatre, nel mio piccolo mondo, la luce è un elemento primario. Sulla tavola, i colori di vecchie tazze rinnovano il ricordo di chi, nell’arco di una vita, per le occasioni più diverse, me ne fece dono. Sono attorniato da oggetti “buoni”, non sono stati acquistati preda del vezzo di voler aspirare a vivere una vita tra le pagine di una rivista o per compiacere l’occhio di chi ti viene a trovare.
La finestra della cucina, guarda malinconica l’acacia malata che dovrò far tagliare. Dal campo salgono i suoni amici di bestie al pascolo. La mosca che poco prima corteggiava il latte, insiste nel vano tentativo di uscire facendo continui frontali contro la zanzariera. Ripenso a Giorgio e alla nostra recente chiacchierata al limitare dei castagni.
2015 nel bosco di Silvano & Giorgio
Da quando Silvano ha svoltato sul sentiero che porta al cielo, non avevo più avuto cuore di passare da loro ma finalmente, vincendo l’inevitabile malinconia che accompagna certi momenti, l’ho fatto. La ricompensa è stata un senso di serenità che mi ha accompagnato dolcemente alla sera.
Alla fine, la mia vita trova un giusto ritmo (più lento e dolce) solo per trenta giorni l’anno quando, terminati tutti gli impegni, posso staccare e ritirarmi nella casa sui monti. Le cose di cui mi devo occupare (eccezion fatta per l’insegnamento) sono le stesse ovunque io vada. Dobbiamo farci da soli e da soli dobbiamo farci un mondo nuovo. Noi eterni scontenti, insaziati e insaziabili che guardiamo verso il futuro ripetendo per ogni tappa raggiunta : “ ancora…ancora” dobbiamo imparare giorno per giorno l’equilibrio per non essere avulsi dal mondo e neppure sommersi da questo.
Anni fa (forse…) compresi ciò che (per me) potrebbe essere buona norma: “camminare con i piedi per terra e lo sguardo rivolto in alto, verso il cielo”.
In un altro tempo di questa vita sono sopravvissuto a me stesso, eternamente “sospeso” tra il paradiso e l’inferno di ogni mia giornata.
Oggi, un piede in terra, ogni tanto lo appoggio…
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