Riflessioni fotografiche
Brevi note dal Silenzio / Le immagini che non si possono vedere
Perfino il silenzio è una risposta (proverbio rumeno)
Le distrazioni della nostra “civiltà” rodono il gusto del tempo che scorre, vanno a inficiare la paziente attenzione verso l’opera che matura dissipando le voci interiori che resteranno appannaggio unicamente del poeta e dell’uomo religioso.
Da un punto di vista filosofico, l’universo è composto dalla Natura e dall’Anima. In senso stretto, perciò, tutto quello che è separato da noi, tutto quello che la Filosofia distingue come “non io” , cioè sia la natura che l’arte, tutti gli altri uomini e il mio corpo, deve essere classificato sotto questo nome, “natura”. (R .W.Emerson)
Da un punto di vista teologico Il silenzio è la condizione ambientale che meglio favorisce il raccoglimento, l’ascolto di Dio, la meditazione.
Immobile e silenzioso
come un gong spezzato
entra nel nirvana,
dove ogni agitazione scompare.
Dhammapada 134
Il silenzio verso ogni cosa crea quella pagina bianca sulla quale il creato scrive la storia del mondo.
Il sacerdote dei sacrifici romani ripeteva “Favete linguis”, siate favorevoli al sacrificio con le vostre lingue, osservando silenzio. Gli orfici sostenevano che non bisogna parlare perché nel silenzio c’è la Verità. La forma più alta di preghiera nel Bramanesimo è il silenzio. Secondo il buddismo per poter accedere a quella calma realizzata dall’estinzione totale dalle passioni che è denominata “Nirvana”, occorre attraversare la porta del silenzio. Nell’Islam il musulmano considera che il segno evidente del suo contatto con Dio sia dato dal silenzio della sua anima così come Il cristiano nel momento della consacrazione osserva l’assoluto silenzio.
Il silenzio non è però unicamente l ‘assenza di quei rumori fisici o spirituali che ordinariamente ci impediscono di sentire la voce del Creato, esiste un silenzio anche per le immagini, per questo quotidiano strepitio che, come una muraglia, complice la rete, si pone innanzi ai nostri occhi.
Nel gennaio 2017 la popolazione mondiale ammontava a circa 7,477220 miliardi di persone ma quasi tre anni prima, nel 2014 erano state state scattate 880 miliardi di immagini fotografiche provenienti da fotocamere virtuali. I cellulari, questo il nome all’origine, erano stati progettati e diffusi per uno scopo ben preciso: chiamare e mandare messaggi. Poi, un giorno, tutto cambiò con l’arrivo degli smartphone, potenti apparecchi multimediali, dotati di fotocamere dalle prestazioni in ascesa in termini di risoluzione, predisposti per fare girare migliaia di applicazioni volte a soddisfare ogni esigenza.
Sono trascorsi dieci anni da un ‘esperienza che si rivelò per me traumatica ma, a posteriori fondante per quello che a tutt’oggi considero “il mio pensiero fotografico”.
Negli ultimi dieci anni il mondo (anche quello delle immagini ) è cambiato in modo impressionante assecondando la bulimica velocità del nostro tempo.
“Le immagini che non si possono vedere” è una piccola trattazione di filosofia dell’immagine che chiede, oggi più che mai, d’ essere letta e in questa sua nuova veste video, ascoltata e meditata.
LE IMMAGINI CHE NON SI POSSONO VEDERE
Un giorno scoprii di avere una lunga arteria che collegava direttamente l’occhio col mio cuore. Compresi tutto questo andando incontro alle cose del mondo; mi bastava guardarle per sentirmi inondare di bellezza, di gioia e di gratitudine.
Credo che lo spirito umano racchiuda il valore cosmico della terra mentre l’Universo evolve la coscienza.
Dedicai un intero mese di una calda estate alle mie fotografie ritirandomi sull’appennino toscoemiliano.
Ogni mio istante era un tributo nei confronti della Visione. Mi svegliavo nel mattino con la stessa gioia di chi è in procinto di incontrare la persona amata. Mi inebriavo del suo profumo, ne percepivo la temperatura e il battito. I miei sensi riconoscenti verso il creato muovevano velocemente le dita dando vita a differenti coppie: tempo/diaframma.
Percorrendo valli e crinali compresi il sistema venoso del paesaggio. Ne carezzai la superficie con lo sguardo. Il ritmo cardiaco rallentava per sostenere senza scosse i tempi dell’otturatore. Tutto il mio essere si intonava sui colori del mondo attraendoli a sé. La danza delle api incise il cielo come antiche scritture su tavolette di cera.
Come un monaco che chino raccoglie con cura le erbe per i propri infusi io coglievo frammenti di Universo con l’intento di custodirli nel mio archivio. I supporti plastici uniti all’argento del negativo avevano questo compito.
Il passato e il presente possono coesistere nello spazio di una stessa immagine, ripetibile eppure mai uguale a sé stessa.
Col finire dell’estate giunse il tempo di rientrare a casa. Lasciare quei luoghi amati faceva male. La malinconia era però resa sopportabile dalla consapevolezza dell’esistenza di quei negativi. Li custodivo come un innamorato serba con cura sul cuore un messaggio della donna amata.
Dalla solennità delle giornate di luce passai al buio muschiato della camera oscura.
Nell’oscurità totale caricai i negativi nella sviluppatrice e iniziai a cullarli con ritmiche onde di acido rivelatore. Trenta secondi d’agitazione continua alternati a trenta secondi di riposo: la chimica incontra lo sciamano. Nel mentre, rivedevo a memoria quei luoghi, le luci, le posture ,ascoltando i suoni mentre il tepore del sole in procinto di tramontare lambiva la mia pelle.
Alla fase di sviluppo del negativo succede il processo d’ arresto contraddistinto dall’odore acre dell’acido acetico che risale le narici con violenza. Due minuti d’agitazione continua al fine d’arrestare lo sviluppo del negativo, tempo nel quale altre Visioni chiesero d’esser ricordate.
Le mani obbedivano al corpo fisico che ritto nell’ombra assecondava i processi chimici di fissaggio con cadenzate agitazioni mentre la mente vagava con la complicità del serbatoio della memoria a breve termine: l’ipotalamo.
Con trepidazione dopo diciassette minuti totali ripartiti in tre bagni di diverse soluzioni chimiche, giunse il momento più atteso, quello di aprire la sviluppatrice, sollevare le pellicole raccolte in spirali e finalmente poter osservare il frutto di un mese di lavoro.
Nel tempo di un lampo sbigottii,incredulo reggevo in mano dei negativi completamente trasparenti: non c’era alcuna traccia d’immagine.
La voce chiuse la gola, la vista si fece bianca come la neve mentre indietreggiando cercavo con le mani una seduta ove lasciarmi andare ad una specie di mancamento.
L’otturatore centrale dell’obiettivo si era rotto, ma l’apparecchio fotografico aveva continuato a scattare facendo scorrere la tendina, e lo specchio aveva concorso mostrandomi le immagini, illudendomi di poter avere per me quanto avevo veduto.
Non mi azzardai mai più a provare a replicare quelle fotografie perché comunqueerano già state scattate, questo significava che io avevo “visto” e stabilito il momento in cui quella porzione di realtà sarebbe stata trasfigurata divenendo un oggetto bidimensionale.
Quelle immagini che non si possono vedere in realtà esistono. Quelle visioni benedette dalla luce del mondo sono in me ed io oggi per mostrarle ad altri ho un solo modo, quello di “raccontarle” restituendole così alla loro tridimensionalità.
Iola di Montese Estate 2007
Ps E se proprio crediamo di dover dire qualcosa…facciamo una piccola riflessione su queste brevi righe :
Per ottenere l’attenzione, oltre ad avere una buona dose di Spirito Santo, bisogna essere testimoni e parlare da testimoni. Osserva Don Fabio Rosini: “La gente prima di ascoltare il contenuto di quello che si dice, ascolta la musica delle parole. E se la musica è noiosa, o, peggio, esigente, moralista, non ascolta. Molto spesso quando si è nell’occasione di ascoltare tanti predicatori odierni, si stacca l’audio e si pensa ai fatti propri.
Per essere ascoltati bisogna prima ascoltare quello spiffero di angoscia dentro di noi, saper parlare ai poveri da poveri e non da teoreti. E, magari, parlare da innamorati. Non perché lo si sappia fare. Perché lo si è.”
( estratto da Riflessioni sul Vangelo, di don Fabio Rosini )
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