mitografia del quotidiano
…basta così poco
Stamane, mentre risalivo di corsa Via antica romana di Quarto, ho visto un bimbo di 3/4 anni imbacuccato per proteggersi dal primo freddo; era seduto sui gradini assieme alla nonna che sorridendogli ha aggiunto
” adesso aspettiamo il nonno che viene a prenderci qui con l’auto…”
Basta così poco per aprire il cuore alla tenerezza del ricordo.
Mio nonno Alessandro veniva sempre a prendermi guidando la sua “cinquecento blu”.
Quel ricordo, mi strappa dal rovello di quelle azioni che oggi, come ogni giorno, dovrò fare.
Quel ricordo, mi innalza al di là di ogni clamore, mi sfila dall’ egoismo che mi fa guardar solo me stesso come dalla paura di essere solo, incompreso , escluso.
Quel ricordo, mi rammenta cosa è il tempo e si disfa nella tenerezza.
Un’immagine, un kodakolor su carta che è passato in molti dei luoghi che ho abitato proprio come un’icona venerata che si porta sempre appresso. Riposa e riluce in una cornice consunta. Contiene, in una piccola frazione di secondo, la gioia ( così semplice e per questo così vera) di stare in quel preciso momento con il nonno. Allora non potevo aver coscienza di cosa quell’attimo sarebbe stato. La “fotografia” ha assolto il suo compito: preservare la memoria.
Ho un rapporto conflittuale con il tempo. Esistono due tempi: quello quotidiano, scandito dagli orari, vissuto non sempre bene da chi, come me, guarda sempre l’orologio; e quello lato, che passa e non ritorna e ci macina tutti, senza troppo rispetto. Si va avanti, si cammina, si invecchia e ci si guarda alle spalle per vedere cosa è stato e cosa sarebbe potuto essere, più difficile guardare avanti e interrogarsi su che cosa sarà. Nelle mie canzoni si respira forte il tempo che passa.
(Francesco Guccini si racconta a Massimo Cotto)
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