mitografia del quotidiano, Mostre
Avvicinarsi al mistero
Grande gioia e grande fatica tra maggio e giugno. La preparazione e l’allestimento della personale “Ma che occhi grandi che hai” ha richiesto molte energie psicofisiche.
Negli ultimi tempi, ma in realtà è giusto parlare di anni, mi ero accorto che il ruolo di didatta prendeva molto spazio alla mia parte autoriale. L’insegnamento è importante in quanto “trasmissione e condivisione di un sapere”, stare accanto ai ragazzi, sia in Accademia che nelle docenze libere è bello e appagante ma anche sfiancante.
Se vuoi funzionare devi saper ascoltare l’altro e questo a meno che tu non sia uno psicoterapeuta comporta spesso delle rinunce e può appesantire. Oggi viviamo in una società dove dolore&livore vanno a braccetto, ognuno vuole aver il suo spazio per dichiararlo e talvolta si và in “Overdose”.
Il professore “rock” (definizione ascoltata da un allievo) ha avuto e ha ancor più necessità di dedicarsi alla sua idea di fotografia, perché è la cosa che amo maggiormente fare. E’ stato curioso ma indicativo il commento di un’allieva che dopo l’inaugurazione con un sorriso mi ha detto:- Prof, ma lo sà che fa delle bellissime fotografie, non lo sapevo, non ci ha mai mostrato sue cose. Devo dire che dipende dal tipo di corso che tengo il mostrare tra i vari autori presentati anche il mio lavoro, deve sussistere il motivo per quella tematica o modalità tecnica d’approccio.
La mostra Ma che occhi grandi che hai è giunta come un elemento di tonicità per quella parte di me surclassata da tanta didattica, anticipata da un piccolo lavoro nella forma di uno slideshow realizzato in “squadra” con amici/allievi per la mostra Body Worlds.
Ognuno di noi ha “ una vita” a disposizione per avvicinarsi al mistero che le è proprio. In questo periodo ho ragionato sul lavoro di squadra predicato da oramai due decenni nelle mie classi accorgendomi che quando questo viene portato su progetti di ampio respiro inevitabilmente finisce per mostrare i suoi limiti. L’amore che ho, dalla nascita per l’Arte (iniziai a tre anni con i colori e pennelli) resta invariato. Difficile è affiancarlo nel giusto modo perchè se debbo trovare un vocabolo appropriato per definire quel “fare” finisco per scomodare il termine ” vocazione”, quindi una chiamata dal forte impulso cui non è possibile (parlo a titolo personale) non rispondere. A 55 anni mi sono accorto ancora una volta che lavorare in squadra richiede la stessa motivazione da parte di tutti i componenti e un fine comune che prescinda dall’affermazione del proprio nome .
In questo breve filmato, purtroppo con l’audio ambiente, provo a riassumere in tre minuti ciò che era visibile alla mostra conclusasi sabato, oltre a raccontare sinteticamente le oscillazioni che sono avvenute circa il mio modo di ritrarre.
Ma la mia vita è altro ancora. Sciocco confinarla nell’Arte o nell’insegnamento come fossero le uniche due cose che occupano le mie giornate.
Oggi ci si concentra troppo sulla “costruzione del mito” perchè la società ingorda ama il fenomeno e gli offre tutti gli strumenti a disposizione per “spammare” quest’aspetto.
Non sono SOLO la pagina fans, il sito o l’account a destra e a manca, non sono SOLO l’avatar che con la coroncina di carta pesta vi sorride in modo “giocoso” sono ANCHE un uomo che vive “ la vita che ha ricevuto” per avvicinarsi al mistero che le è proprio.
…persone care attorno a me oramai solo attraverso la fotografia….
…persone che quando avevo quattordici anni, sull’appennino mi insegnavano cose della vita…
…i sempre più rari momenti per occuparsi della casa sull’appennino…
Il vento sull’appennino fotografato a 24 anni con una ektachrome 64 della Kodak
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