Varie
Harry Smith
Harry Smith American Magus
“Come ho già detto, questo libro scalfisce solo la superficie. Mi auguro tuttavia che rappresenti una traccia semplice e diretta di Harry, una cartina vivente dei diversi punti di entrata che indichi le diverse entrate del labirinto. Spero che possa servire da punto di partenza per esplorare questo suo mondo in profondità”
Così si conclude l’introduzione di Paola Igliori, curatrice di questo interessante libro su Harry Smith, che tenta di ricostruirne la storia attraverso le persone che lo hanno incontrato.
Ci sono voluti più di sei anni perché un editore decidesse di tradurre il libro e, in questo modo, portare in Italia un artista poco conosciuto, ma dall’enorme influenza su molti altri più noti.
Harry Smith è una figura fondamentale per comprendere la cultura americana, dagli anni Cinquanta fino ai giorni nostri. Non solo nella pittura, nel cinema, nella musica, ma anche nella scienza antropologica e nel misticismo, il suo insegnamento è stato strepitoso. Persona complessa, Smith ha condotto una vita piuttosto ritirata, schiva, spesso sotto le soglie della povertà, rifiutandosi ostinatamente di cercare di guadagnare del denaro con le proprie forze, ma continuando a chiederlo agli amici e alle persone che lo circondavano. In maniera esasperante.
Il libro è composto da diciotto interviste raccolte sia direttamente dalla curatrice che dalla stampa dell’epoca, che cercano di ricostruire la vita e l’opera (due momenti inscindibili in questo caso) di Harry Smith. Le testimonianze di Jordan Belson, Jonas Mekas, Allen Ginsberg, Robert Frank, John Coen, e molti altri, descrivono un uomo caratterizzato da una sapienza senza fondo, da un profondo amore verso il genere umano, da un’intuizione tipica del genio, ma allo stesso tempo incapace di relazionarsi affettivamente con le altre persone.
Delle sue numerosissime opere, di cui è in corso un tentativo di censimento e catalogazione, molte sono andate perdute. A volte venivano offerte in cambio di soldi, altre pignorate da proprietari di appartamenti a cui non veniva mai pagato l’affitto, per lo più venivano distrutte dallo stesso autore, colpito da raptus improvvisi, ire incontrollabili (più volte è raccontato l’atto di scagliare i rotoli di pellicola di un suo film sotto un camion in transito)…
Ha lasciato anche vaste collezioni, anch’esse per lo più perdute: uova di pasqua dipinte a mano, libri rari, figure di corda, dischi, numerose registrazioni di diverse attività umane (dai suoni della strada ai canti delle cerimonie indiane, dai concerti punk ai rantoli dei morenti), aeroplani di carta raccolti per strada (con, annotati, data ora e luogo del ritrovamento!), a indicare quanto fosse profonda l’attenzione verso l’uomo e la sua strana natura. Del resto fu lui a usare per primo il termine “archeologia urbana”.
L’influenza di Harry Smith non si limita alla cultura alternativa e psichedelica degli anni ’50 e ’60 ma si estende ai giorni nostri in molti campi e la sua fama è destinata a diffondersi ancora per molto tempo. Inestimabile rimane il suo contributo alla storia del cinema, che sia per la modalità d’intervento sulla pellicola (pittura, incisioni, collage), che per tecniche di riproduzione (due, tre proiettori incrociati), rimane ancora all’avanguardia. E alla musica, tanto che non c’è folk singer americano (ma anche punk o havey metal) che non si sia fatto le ossa ascoltando la Anthology of American Folk Music curata da Smith in quattro volumi per la celebre Folkways.
Lo stesso Bob Dylan dice di dovere moltissimo ad Harry Smith. Ma un giorno, mentre si trovava nell’appartamento newyorkese di Allen Ginsberg per fargli ascoltare una nuova canzone, da una stanza chiusa è uscito all’improvviso Harry, che pare abbia esclamato: “Cos’è questo rumore? Non riesco a lavorare”.
Carlo Romano
Harry Smith, american magus
Ho per le mani uno di quei libri la cui struttura (o mancanza della stessa) è tale da creare imbarazzo. Si pensa subito che si debba penare, e tanto, nell’affrontarli. Nel caso specifico si è pure pensato di poter fare a meno del sommario e dunque ogni vago timore potrebbe rapidamente trasformarsi in panico. Se ciò non succede è perché o si ha interesse per il soggetto di cui tratta o si vuole comunque piegare le apparenti difficoltà al nostro orgoglio intellettuale, il quale ultimo non deve poi misurarsi veramente in nessuna affaticante sfida, tanto tutto scorre nel migliore dei modi. Attraverso una raccolta di testimonianze e di immagini, il libro racconta di Harry Smith, etnomusicologo, pittore, beatnik, filmaker, collezionista (Harry Smith, American Magus-moderno alchimista, Arcanapop, Roma 2003). Lo ha curato Paola Igliori, romana che vive a New York da un certo numero di anni, dove fra l’altro ha fondato la casa editrice che ne ha pubblicato l’edizione originale (Inanout Press, 1996). Qualche ripetizione, in un libro che è in prevalenza un libro di testimonianze, è da mettere nel conto. Paola Igliori ha tuttavia interrogato i suoi testimoni (da Allen Ginsberg a Robert Frank a Jonas Mekas, per fermarsi ai più noti) in modo da evitare inutili e barbose sovrapposizioni, benché non sempre l’equilibrio ne esca avvantaggiato. Si da, ad esempio, il giusto rilievo all’Anthology of american folk music redatta cinquant’anni fa da Smith per la Folkways (e si riporta opportunamente un brano autobiografico di Moses Ash, il fondatore della celebre casa discografica) ma si tengono fuori dal discorso altrettanto importanti e celebri parametri, così diversi fra loro, quali l’attività dei Lomax o le raccolte di Burl Ives. Personalmente avrei gradito un approfondimento del “crowleismo” di Harry Smith, che pure viene ribadito in più punti, a differenza del suo “marxismo” cui si fa soltanto rapidamente cenno. L’idea di un “marxista-crowleiano” mi sembra che potesse conferire a un personaggio ampiamente coccolato per quasi trecento pagine un motivo in più di interesse e un profilo probabilmente più preciso. Non è il caso, comunque, di andar troppo per il sottile quando si pensi che l’opera della Igliori è unica. Si tenga inoltre presente che il libro, a firma di Bill Morgan (pittore e archivista che ha, fra l’altro, ordinato i materiali appartenuti ad Abbie Hoffman, Timothy Leary, James Schuyler, Anne Waldman, oltre a quelli di Smith), propone una guida alle collezioni di Harry Smith” (libri, film, pop-up, artigianato popolare, tarocchi, registrazioni ecc.). Con molta onestà, andando un po’ contro la leggenda che circonda il personaggio, Bill Morgan segnala che alla Library of Congress non c’è traccia delle registrazioni musicali che si diceva Smith vi avesse depositato, come non esiste alcuna indicazione della fine che hanno fatto le coperte e i vestiti Seminole che sempre Smith diceva di collezionare. Le uova ucraine per le quali raccontava di aver speso una fortuna si sono poi rivelate, alla resa dei conti, soltanto sette. Che Smith andasse alimentando la propria leggenda?
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