Varie
Peter Hammill :- Guitar, piano and Vox
TRISECTOR Van der Graaf Generator –Virgin 2008
Negli anni settanta immaginavo galassie solcate da astronavi, universi infuocati e tempeste sospese in terre senza tempo. Sognavo Gerico, città dalle fondamenta lacerate, potevo intravedere pionieri al di là dei secoli e rifugiati che lasciavano alle loro spalle la vita conosciuta
ed amata per dirigersi verso l’ ovest.
Questi mondi m’attraversavano mentre, seduto nella “casa senza porte”, mi lasciavo sedurre dalla solitudine cosmica di Peter Hammill.
Nel 2005 arrivò una sorpresa “Present” nuovo album dei VDGG che riprendeva dal picco duro di Godbluff, Present fu un disco sincero sebbene non epocale. I fans non credettero del tutto che dopo trenta anni da quello stop quella band avrebbe continuato a creare. Oggi a smentire l’assunto arriva Trisector, che dimostra con coraggio che si può essere “quel suono” anche senza il marchio dei fiati di David Jackson.
La prima cosa da dire è che non è un disco per nostagici, la produzione molto più attenta dell’album precedente lo testimonia. Trisector non strizza l’occhio al mercato (cosa inconcepibile per i Van Der Graaf che non sono mai stati una band da charts o che gira dei clip) ma dipana un suono che non è unicamente per lo zoccolo duro del Prog-fan.
L’apertura del disco è uno strumentale introduttivo, semplice ma non memorabile dal titolo “The hurlyburly” ( Theme one, sebbene non a loro firma era ben altra cosa), ma già con Interference Patterns veniamo richiamati all’universo Hammilliano, attraverso un cantato spiraliforme e inquieto che segna il passo accompagnato da un organo minimale. The final reel e Lifetime aprono ad un romanticismo oscuro e minimale, con momenti di toccante intensità nel canto di Hammill, che carezza la malinconia con la dolcezza lasciando per altri brani più avanti nell’album il suo catartico furore canoro che fece dire a Robert Fripp, uomo parco di complimenti :- “Peter ha fatto per la voce nel rock quello che Hendrix ha fatto per la chitarra”.
Drop dead alza il tono rock con muscolarità ma non brilla e mostra la corda come il brano d’apertura, addirittura ne ricorda la struttura come una sorta di vocal version. Segue “Only in a whisper” e qui giungono echi lontani che ricordano porzioni degli album Pawn Hearts miscelate a frammenti del meraviglioso Still life. Se Banton in questo disco fa sentire maggiormente le sue tastiere una menzione speciale va a Guy Evans, sempre fantasioso, leggero e incisivo che nell’album spesso lavora di spazzole.Guy Evans che è stato da sempre fedele ad Hammill anche al di là dei Van der Graaf generator si dimostra un grande batterista prog/Jazz e riconferma come ebbe modo di dirmi personalmente a Gardone Riviera a fine concerto:- Con i Van der Graaf mi diverto da matti a suonare!
All that before finalmente dà il rock giusto del generatore, con quella mistura di pathos e furore che li contraddistingue ed una simpatica citazione nel riff al suono degli Stranglers, una delle tante band punk/wave fine settanta, primi ottanta che invitarono Hammill in vece di Padrino sul palco ad intonare con loro Tank-Threatened-The Raven e Sha Sha a go go.( bootleg di riferimento Stranglers A night in London)
Over the hill è il momento più intenso e lungo dell’album ( 12,26 minuti che nel migliore delle tradizioni può arrogarsi il ruolo di suite) e mostra che i Van der Graaf Generator restano capaci a distanza di anni e senza i fiati a non piangersi addosso violentando l’ascoltatore con cambi frenetici di ritmo,timbro e soluzioni sonore che li hanno resi unici e assolutamente difficili da riproporre in chiave di “cover” .Il canto di Hammill s’alza alto e epico come da oltre 40 anni solo lui sa fare. Il solo brano vale l’acquisto dell’ l’album che chiude con circolarità e in modo tautologico con (We are) Not here.
Per certo non il disco per tutti e neppure quello per aprirsi al mondo del “Generatore”, certamente molto meglio di tanto rock derivativo che oggi “stra vende” con la complicità dei vecchi e dei nuovi “Bertoncelli”.
Questi mondi m’attraversavano mentre, seduto nella “casa senza porte”, mi lasciavo sedurre dalla solitudine cosmica di Peter Hammill.
Nel 2005 arrivò una sorpresa “Present” nuovo album dei VDGG che riprendeva dal picco duro di Godbluff, Present fu un disco sincero sebbene non epocale. I fans non credettero del tutto che dopo trenta anni da quello stop quella band avrebbe continuato a creare. Oggi a smentire l’assunto arriva Trisector, che dimostra con coraggio che si può essere “quel suono” anche senza il marchio dei fiati di David Jackson.
La prima cosa da dire è che non è un disco per nostagici, la produzione molto più attenta dell’album precedente lo testimonia. Trisector non strizza l’occhio al mercato (cosa inconcepibile per i Van Der Graaf che non sono mai stati una band da charts o che gira dei clip) ma dipana un suono che non è unicamente per lo zoccolo duro del Prog-fan.
L’apertura del disco è uno strumentale introduttivo, semplice ma non memorabile dal titolo “The hurlyburly” ( Theme one, sebbene non a loro firma era ben altra cosa), ma già con Interference Patterns veniamo richiamati all’universo Hammilliano, attraverso un cantato spiraliforme e inquieto che segna il passo accompagnato da un organo minimale. The final reel e Lifetime aprono ad un romanticismo oscuro e minimale, con momenti di toccante intensità nel canto di Hammill, che carezza la malinconia con la dolcezza lasciando per altri brani più avanti nell’album il suo catartico furore canoro che fece dire a Robert Fripp, uomo parco di complimenti :- “Peter ha fatto per la voce nel rock quello che Hendrix ha fatto per la chitarra”.
Drop dead alza il tono rock con muscolarità ma non brilla e mostra la corda come il brano d’apertura, addirittura ne ricorda la struttura come una sorta di vocal version. Segue “Only in a whisper” e qui giungono echi lontani che ricordano porzioni degli album Pawn Hearts miscelate a frammenti del meraviglioso Still life. Se Banton in questo disco fa sentire maggiormente le sue tastiere una menzione speciale va a Guy Evans, sempre fantasioso, leggero e incisivo che nell’album spesso lavora di spazzole.Guy Evans che è stato da sempre fedele ad Hammill anche al di là dei Van der Graaf generator si dimostra un grande batterista prog/Jazz e riconferma come ebbe modo di dirmi personalmente a Gardone Riviera a fine concerto:- Con i Van der Graaf mi diverto da matti a suonare!
All that before finalmente dà il rock giusto del generatore, con quella mistura di pathos e furore che li contraddistingue ed una simpatica citazione nel riff al suono degli Stranglers, una delle tante band punk/wave fine settanta, primi ottanta che invitarono Hammill in vece di Padrino sul palco ad intonare con loro Tank-Threatened-The Raven e Sha Sha a go go.( bootleg di riferimento Stranglers A night in London)
Over the hill è il momento più intenso e lungo dell’album ( 12,26 minuti che nel migliore delle tradizioni può arrogarsi il ruolo di suite) e mostra che i Van der Graaf Generator restano capaci a distanza di anni e senza i fiati a non piangersi addosso violentando l’ascoltatore con cambi frenetici di ritmo,timbro e soluzioni sonore che li hanno resi unici e assolutamente difficili da riproporre in chiave di “cover” .Il canto di Hammill s’alza alto e epico come da oltre 40 anni solo lui sa fare. Il solo brano vale l’acquisto dell’ l’album che chiude con circolarità e in modo tautologico con (We are) Not here.
Per certo non il disco per tutti e neppure quello per aprirsi al mondo del “Generatore”, certamente molto meglio di tanto rock derivativo che oggi “stra vende” con la complicità dei vecchi e dei nuovi “Bertoncelli”.
© Alberto Terrile
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