Varie
L’orto di Morandi
Ricordo ancora oggi, a distanza di trent’anni, il dispiacere di quanti scoprirono che per la fotografia avevo abbandonato l’arte della pittura. Fu una scelta emotiva e al contempo di in “consapevole” ragionevolezza. Allora andava di moda la transavanguardia, Cucchi, Spoldi e compagnia capitanati dal critico militante Achille Bonito Oliva. Io ero solo un riccioluto giovinetto che era innamorato di Mark Tobey, Sam Francis e cercava di disintossicarsi dal primo amore andato a male.
Nella mia testa l’eco di un accademico stupore commisto a dispiacere “ ma…. ma..come…lasci la pittura per la fotografia?”
Con la franchezza che mi contraddistingue chiusi la questione con la consapevolezza che invece “avrei dipinto sì, ma con la luce”.
A ventitre anni avevo finalmente capito cosa realmente mi interessava e oggi resto fedele a quella promessa d’amore.
La congiunzione tra la scoperta della fotografia e l’ossessiva compulsività del mio docente di pittura di allora nel voler fare pascolare trenta allievi nell’orto di Morandi sortirono il risultato.
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