Varie
Taccuino da Wight / 5
Il blues di Arthur Roy
Dalla sommità di una collina, il cimitero veglia sulla piccola città. Il regno dei morti è più vasto rispetto a quello dei vivi. Le lapidi affondano nel terreno reso morbido dagli anni di pioggia, alcune pendono avanti, altre all’indietro, sembrano i denti sempre più radi nella bocca di un vecchio. La danza delle stagioni ha mosso quelle zolle. Decenni di sole, di pioggia e di neve hanno reso più dolci le pietre tombali, smussando i nomi, cancellando parti di frasi e date sino a comporre una nuova lingua quella del popolo degli invisibili.
Jack mette in ordine gli attrezzi da giardino nel garage mentre la moglie prepara lo sformato di patate per cena. Arthur Roy, il figlio, è nel pub sull’angolo poco distante da casa e non ha proprio voglia di tornare a casa. Stringe i pugni in tasca toccando la polvere e uno scontrino sgualcito mentre si morde nervosamente il labbro. Lo sguardo sconsolato galleggia ondivago sul merletto bianco di schiuma della terza pinta di guinnes. Sino a una settimana fa aveva una ragazza di nome Ellen, rossa come una volpe, tempestata di lentiggini e dai grandi occhi blu. La scorsa notte l’aveva sognata mentre succhiava l’uccello a un ragazzo molto più giovane e lo faceva serenamente davanti a lui. Pochi giorni prima, lei aveva sancito che tra loro due la storia era finita per sempre.Il venerdì sera pensò ” è il peggiore dei giorni per sentirsi morire dentro“.
Sulla sommità della collina, il cimitero era sempre fresco di morti e spolverato da un vento che pareva infinito come il blu del cielo, come il blu degli occhi di Ellen.
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