mitografia del quotidiano
Sono le sole parole, queste, di cui hanno bisogno le persone fragili e insicure, sensibili e vulnerabili, che sono alla ricerca di accoglienza e di rispetto della loro debolezza, della loro dignità.
Ciascuno di noi, in vita, ma in psichiatria in particolare, ha a che fare con parole: con parole fredde e opache, crudeli e pietrificate, negate alla trascendenza e immerse nell’immanenza, o con parole leggere e indistinte, luminose e discrete, delicate e aperte alla speranza, fragili e friabili, non impermeabili ma permeabili all’incontro e al dialogo, al cambiamento degli stati d’animo e delle situazioni.
Come definire, e come conoscere, le parole che sono fragili e quelle che non lo sono, immobili e chiuse nel loro guscio impenetrabile?
Cosa sigilla le parole fragili, le parole che sono arcobaleno di speranza, e cosa le distingue da quelle che non sono fragili?
Solo l’immaginazione e la sensibilità ci consentono di conoscerle e di coglierle nei loro orizzonti di senso.
Le parole fragili sono parole portatrici di significati inattesi e trascendenti, luminosi e oscuri, umbratili e crepuscolari. Anche le parole rilkiane, che si aprono e si chiudono come ortensie azzurre, e che alludono a foreste di segni insondabili, sono fragili; e sono infinitamente fragili le parole leopardiane nelle loro risonanze così facilmente ferite dalla nostra indifferenza e dalla nostra noncuranza, dalla nostra fretta e dalla nostra disattenzione, e che sono colte nelle loro trasparenze solo quando siano ascoltate con l’anima aperta all’indicibile e all’invisibile.
Sono parole che, come ungarettiane allodole accecate dalla troppa luce, hanno bisogno di silenzio e discrezione, di luci e di penombre, che abbiano a smorzarle. Sono le sole parole, queste, di cui hanno bisogno le persone fragili e insicure, sensibili e vulnerabili, che sono alla ricerca di accoglienza e di rispetto della loro debolezza, della loro dignità.
Eugenio Borgna
Leave a reply Annulla risposta