A mia Madre, mitografia del quotidiano, Mostre
DIALOGHI INVISIBILI
Un anno fa esatto, il 10 Dicembre Francesca lasciava il pianeta terra. 18 giorni fa,
il 23 Novembre, mia madre operava attraverso la morte il suo cambio di
domicilio.
Osservo la foto di Avignone del 1998, Francesca e mia madre si guardano. E’ un
dialogo che ora, silenzioso, continua nell’Altrove.
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Il mistero della vita oltre la morte accompagna la storia dell’uomo fin dai suoi
albori, alimentandone il senso del sacro.
I primi a sognare il paradiso furono i sumeri e lo chiamarono Dilmun: si trova
descritto in una tavoletta (2500 circa avanti Cristo) come un luogo puro e
splendido, dove non esistono malattie né violenza.
Ma il paradiso ha tanti altri nomi, quante sono le religioni che, nel corso dei
secoli, l’hanno promesso ai propri devoti: Sheol per gli ebrei, Campi Elisi per gli
antichi greci, Gan Eden per i musulmani, Terra Pura per i buddhisti, Vaikhunta
per gli induisti. Sono tutti luoghi rassicuranti e idilliaci, che tuttavia rispecchiano
le diverse culture dalle quali provengono.
«Il paradiso è una dimensione simbolica necessaria a ogni cultura perché è il
riflesso di un’utopia sociale: nel paradiso tutto è perfetto perché tutti siamo uguali
e felici. Non esiste conflitto tra me e te, siamo tutti diversi ma in un unico corpo
che è il corpo di Dio. Il paradiso è anche una grande visione psicologica:
rappresenta il ritorno all’utero materno, dove si realizza finalmente la fusione di
due in uno», dice Massimo Raveri, ordinario di religioni e filosofie dell’Asia
orientale all’università Ca’ Foscari di Venezia.
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