Riflessioni fotografiche
Julia Margaret Cameron
Julia Margaret Cameron di Giuliana Bertelli
Garden Reach 1815 – Cylon 1879
Julia Margaret Pattle, nota con il cognome Cameron, era nata a Garden Reach, nei pressi di Calcutta, nel 1815, quando sull’impero britannico non tramontava mai il sole. Figlia di un ufficiale inglese della British East India Company e di un’aristocratica francese, Adeline de l’Etang, appena in età scolare fu mandata dalla famiglia a Parigi e Londra per ricevere un’educazione e un’istruzione europea appropriate al suo rango.
Nel 1836, in convalescenza presso il Capo di Buona Speranza, conosce Charles Hay Cameron, un legislatore e uomo d’affari di base a Ceylon, di circa 20 anni più grande di lei e già vedovo. Si sposano. Julia Margaret, nel corso degli anni, avrà sei figli e altrettanti ne adotterà. Nel 1848 la famiglia Cameron rientra in Inghilterra stabilendosi prima a Londra e in seguito, nel 1860, sull’isola di Wight. Il ritorno in Inghilterra permette a Julia Margaret di frequentare ed entrare a far parte della cerchia di intellettuali, artisti e scienziati più illustri del tempo.
Nel 1863, i figli sono ormai grandi e il marito deve rientrare a Ceylon per seguire gli affari. La vita di Julia Margaret si svuota aprendo spazio alla noia, rischiando di scivolare nella malinconia. La figlia maggiore, Julia, le regala un apparecchio fotografico con l’idea che un hobby possa aiutarla a distrarsi. La dagherrotipia e la talbotipia erano state presentate ufficialmente, rispettivamente in Francia e Inghilterra, pochi anni prima, nel 1839-40; e a questi primi processi fotografici, da circa un decennio, si era sostituito il negativo su lastra di vetro con emulsione al collodio. L’arte della fotografia ha ancora un aspetto artigianale, più che artistico, ancora lontano dagli interessi industriali e dalla sua massificazione. I fotografi sono generalmente uomini e lavorano su commissione di un cliente o con la prospettiva di proporre commercialmente le loro immagini. Gli atelier sfornano ritratti e gli stabilimenti paesaggi. Alcuni fotografi coraggiosi si avventurano per il mondo fotografando guerre, popoli e meraviglie lontane. Nella fotografia si ricerca soprattutto l’aderenza al reale, la perfezione nei dettagli, lo stupore nel constatare che riporta su un piccolo rettangolo la verità per quello che appare e per quel che è, senza interpretazioni. La Cameron è conquistata dal regalo più di quanto chiunque potesse immaginare. La fotografia si trasforma in una vera e propria passione, senza alcun fine redditizio né interesse a mostrare le sue fotografie al di fuori della cerchia dei familiari e degli amici. Ben presto la sottile ossessione si impadronisce di lei. Organizza il suo laboratorio con camera oscura in quella che lei ribattezza Glass House: altro non era che un pollaio da cui aveva sfrattato le galline, chiuso da vetrate e tendaggi; inizia a sperimentare. Quando finalmente riesce a realizzare la prima fotografia (dalla preparazione della lastra, alla posa, lo scatto, lo sviluppo e la stampa), un ritratto di Annie, una bambina di casa, corre eccitata per le stanze a cercare un dono per la sua piccola modella e per mostrare a tutti il risultato che da allora cercherà sempre di perfezionare.
La sua tecnica era considerata carente, e in effetti spesso i suoi negativi sono rovinati e mal preparati, ma il gusto compositivo era fuori discussione. Scelse di dedicarsi al ritratto interpretato secondo il suo modo, che poi rispecchiava molto quello della pittura preraffaellita a lei contemporanea. I suoi soggetti preferiti erano i bambini e gli adolescenti: nipoti e altri bambini venivano convinti a lunghe sessioni di posa con la promessa di un premio e via via Julia Margaret Cameron adattava su di loro atteggiamenti, pose, drappi, e anche piccole ali, coroncine, panneggi, così da farne delle visioni realistiche di idealizzazioni dell’infanzia e dell’innocenza. I bambini e gli adolescenti sono “usati” soprattutto per rappresentazioni allegoriche di racconti o romanzi. Lo stesso Lewis Carroll, anche lui fotoamatore oltre che pastore e scrittore, apprezzò alcune sue fotografie, non mancando di stroncarne decisamente altre. Alfred Lord Tennyson, ritratto da lei, le chiese una serie di fotografie per illustrare il suo componimento Idylls the king.
Le fanciulle della Cameron avevano sempre un aspetto sognante e pensoso, a volte tormentato, tipico del romanticismo. Ma quello che caratterizza più di ogni altra cosa la sua fotografia è la tecnica con cui Julia Margaret raggiunge il risultato. Le sue fotografie sono volontariamente sfuocate, ombrose, poco delineate e , spesso, ovali. Da un lato, soprattutto all’inizio, dai critici più severi, questo viene interpretato come un errore tecnico e il segno di una scarsa padronanza del mezzo, anche se apprezzano la composizione formale dell’immagine. La Cameron però risponde alle critiche opponendo alcune spiegazioni decisamente originali, giustificandole con nuove, per l’epoca, motivazioni. Lei non si limita a riprodurre il reale: lo interpreta così per come effettivamente appare alla mente: i contorni nella nostra messa a fuoco sono sfumati, circolari, e solo una minima porzione di ciò che vediamo è realmente a fuoco. La sua idea rivoluzionaria è che la fotografia deve allontanarsi dall’essere uno strumento di riproduzione meccanica, che il fotografo deve avere la libertà di interpretare e creare la propria visione del mondo; vuole nelle fotografie avvicinarsi il più possibile a come i nostri occhi effettivamente vedono. Con la Cameron nasce così la ricerca artistica nella fotografia; la fotografia si allontana dalla commercializzazione e dalla ricerca del consenso, ma viene realizzata per sé e per chi può comprenderla. È interessante sottolineare questo per più aspetti: la ricerca artistica in fotografia non nasce da esigenze di mercato, ma da ricerche assolutamente personali; muove i suoi primi passi tra i fotografi dilettanti, o fotoamatori. La prima che coglie le potenzialità di espressione artistica è una donna, quando fino a pochi anni prima si sosteneva che, a causa dei laboriosi procedimenti, mai una donna sarebbe stata fotografa.
Julia Margaret Cameron è ricordata anche per i ritratti a personaggi assai noti che posano davanti al suo obiettivo. Contemporaneamente al suo quasi coetaneo e più celebre Nadar (nato nel 1820) la Cameron fotografa i tanti che vivono con lei sull’isola di Wight. Con i suoi plastici chiaroscuri riesce a cogliere l’essenza di un volto, di un’espressione o un’emozione con vera sensibilità, anche se con estenuanti sessioni fotografiche. Tra questi ritratti non si possono scordare quelli di Charles Darwin, William Michael Rossetti, Robert Browning, Julia Jackson (la sua figlia maggiore, a sua volta madre di Virginia Wolf), John F.W. Herschel (tra i più noti scienziati dell’epoca: è lui a coniare i termini “negativo” e “positivo” per la fotografia, e spesso consiglia la Cameron per le sue riprese).
Le fotografie della Cameron diventano presto famose oltre la cerchia di amici e iniziano ad essere esposte nelle mostre d’arte (a quei tempi pittura e fotografia venivano presentate insieme come “belle arti”) ottenendo ampi consensi dal pubblico. Sarà la prima donna ammessa alla Royal Photographic Society e questo le permette di confrontarsi con gli altri fotografi, primo tra tutti Rejlander. La fotografia della Cameron infatti interpreta al meglio lo stile vittoriano, tanto da far dire che la sua fotografia si avvicina alla pittura. È così che dopo di lei prenderà il sopravvento nella ricerca fotografica la corrente del Pittorialismo che sarà alla base della fotografia artistica fino ai primi del ‘900.
Ma il tempo della notorietà è breve. Nel 1875 i Cameron ritornano a Ceylon e lì Julia Margaret, anche per problemi legati alla difficoltà di reperire i materiali, abbandona la sua passione. Muore nel 1879. Le sue opere sono oggi conservate a Dimbola Lodge, la tenuta in cui visse e che oggi è un museo a lei dedicato sull’isola di Wight, ma anche nelle più importanti collezioni pubbliche.
Opere di J M Cameron
Le persone quando se ne vanno lasciano i loro oggetti d’affezione e gli strumenti di lavoro. Restano le case che hanno contenuto quelle anime, restano le finestre rivolte verso i punti cardinali e qualcosa di ciò che hanno potuto mostrare. Le finestre sono quelle fotografie cui ogni giorno passiamo innanzi con la fretta e la distrazione che ci contraddistingue.
Alberto Terrile
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