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TUTTO SUI MIEI ANGELI
Per comodità, giacchè continuo a ricevere delle mail di persone affascinate dal lavoro sul tema dell’ANGELO ecco i due testi ufficiali.Una lettura critica di terzi è accettata, ma qui son io che parlo nel 98 e nel 2002, conseguentemente sono scritti attendibili…..anche se nella creazione c’è sempre qualcosa di indicibile….
“SACRA CONVERSAZIONE” dal Catalogo Sous le signe de L’Ange 1998 ed.Petit Palais
Una discussione tra Enrichetta Buchli; psicoanalista e professoressa all’Istituto dello spettacolo, Università di Milano e Alberto Terrile; artista/fotografo.
E.BUCHLI: Come, da che cosa ti è venuto in mente, da che cosa nasce questa …chiamiamola pure ispirazione di fare foto, di fotografare gli angeli?
A.TERRILE: …non è semplice ricordare come nasce un’idea, piuttosto “dove nasce” e in quale contesto emotivo, perché è un po’ come …se pensieri, suoni, immagini, odori, che ben inteso sono frutto del mio vissuto, decidessero autonomamente dal mio volere, dalle mie esigenze, di presentarsi ancora una volta, ritagliandosi così un posto di primordine, divenendo “elementi di ispirazione”.
Sin da bambino lasciavo che pensieri ed altro attraversassero la mia mente, amavo perdermi nelle idee e nelle cose, in una sorta di tempo sospeso, con la testa fra le nuvole, puntualmente rimarcato dagli insegnanti, questo atteggiamento era in nuce l’aspetto poetico con cui ci si dovrebbe rivolgere verso le “cose della vita, le cose dell’arte “…comunque ho da sempre assecondato una certa “visione” in modo quasi sciamanico, una sorta di trance, laddove seguendo una spinta che è pura energia, velocissimo vado a realizzare qualcosa che io stesso ho difficoltà a “leggere” per ciò che realmente è e rappresenta …vorrei dire che spesso ho bisogno di tempo per comprendere i segni e i simboli costituenti lo spazio, l’immagine. Il lavoro sugli Angeli non si sottrae a quest’ordine; difatti già nel 1991 avevo realizzato delle immagini “di sospensione” che alludevano e preludevano a ciò che solo due anni più tardi mi sarebbe stato chiaro. Arriviamo quindi al 1993. In quel tempo vivevo a Parigi, ricordo una sera di temporale, che mi costrinse a riparare in una brasserie di rue Lepic, lì bevendo un caffè annotai su un taccuino, che avevo sempre con me, una frase: “Le forme simboliche vuote ricevono l’immaginario delle masse. Preferisco abitare alla periferia del sistema nella quotidiana sospensione tra il Paradiso e l’Inferno d’ogni mia giornata”…………………
Testimoniavo della mia volontà di non “appartenere” a qualcosa/qualcuno per sentirmi parte di un ingranaggio che livella e omologa: il contesto sociale cultural/politico, (potendo, talvolta eviterei persino mè stesso…). I due poli, limiti: Paradiso e Inferno, venivano intesi come “stati dell’essere” come “condizioni” non come luoghi figurati ai quali per contraltare offrivo il concetto di “sospensione”: uno stato che rifiuta “i piedi per terra” e che è ancora incerto se perdersi tra le nubi seguendo una corrente ascensionale.
…..in effetti la figura dell’Angelo è da sempre presente nella cultura occidentale: In India con i Deva, in Arabia i djinn, in Israele ne troviamo tantissimi tutti indagati nella Qabbalah, e soprattutto tra i protestanti presso i quali l’arte più importante è il cinema, ed ecco sfilare: Chaplin, Disney, Lubitsch, F. Capra per arrivare poi a Wenders che li presenta come esseri che vivono l’imperfezione degli uomini come “mancanza”, con un profondo senso di nostalgia, Angeli che aspirano a diventare uomini, per questo si incarnano. Il cinema ha però una sintassi che permette un maggior coinvolgimento dei sensi e attingendo a piene mani dal montaggio permette forme di rappresentazione più raffinate e al contempo significanti.
E.BUCHLI: Il cinema ha la possibilità del montaggio e ha affrontato il tema con più agilità tant’è che in molti film dall’inizio della cinematografia ….dal famoso “Monello” di C. Chaplin, troviamo apparizioni angeliche realizzate con effetti speciali o grazie a tutta una serie di accorgimenti tecnici. La fotografia non ha mai rappresentato angeli nella modalità tua, cioè come personaggi senza orpelli, senza elementi allegorici. E’ una sfida quella delle tue foto, perché l’Angelo è invisibile e la foto riprende il visibile. Dunque riprendere l’invisibile che appare nella pellicola in carne ed ossa e pur avendo tutte le fattezze corporee riesce a rendere “L’idea dell’invisibile”. Questa è una sfida particolare, originale e direi riuscita nel tuo lavoro in modo assolutamente completo, per non dire perfetto. Nelle tue immagini si realizza qualcosa di veramente eccezionale, ciò che definirei una sorta di unione tra significante e significato….è portare al massimo livello le possibilità tecniche della macchina fotografica, in modo da riuscire a fermare il tempo e a rappresentare l’istante. E qualcosa che nel nostro flusso percettivo non viviamo, non vediamo: portare alle estreme conseguenze le possibilità di questa tecnica vuol dire contemporaneamente riuscire a rappresentare il significato centrale della simbologia angelica, “L’Eterno”.
A.TERRILE: è vero! L’uso del mezzo fotografico da parte mia è “strumentale” e al contempo implica una riflessione sullo stesso, parli di “sfida” quando alludi alle mie rappresentazioni…..e aggiungerei che c’è l’amore per il paradosso giacché “L’immagine fotografica non può prescindere dal reale”, nel contempo però attraverso l’occhio e il patrimonio sensibile dell’autore, opera una trasformazione della realtà. Con la coscienza di ciò rivolgo la mia attenzione verso un soggetto che per antonomasia viene definito Aereo, etereo, incorporeo, spirituale…che dell’umano conserva le sembianze. Queste figure sospese sono il prodotto dell’equazione Tempo/Luce, che mi permette di fissare ed offrire allo sguardo la mia rappresentazione di quelle creature che come dice Rilke, hanno già realizzato la trasformazione del visibile nell’invisibile cui tutti noi tendiamo.
E.BUCHLI: Anche Wenders ha fatto un operazione analoga; nel “Cielo sopra Berlino”, e in “Così lontano così vicino” il mezzo cinematografico è stato rappresentato come il mezzo angelico, in modo diverso perché si tratta non di istanti ma si tratta di collegamenti di fotogrammi, l’autore ha voluto far vedere come la stessa macchina da presa può mostrare quello che nella tradizione filosofica e teologica era stata attribuita alla visione angelica. Vediamo nel “Cielo sopra Berlino” gli angeli che passano attraverso i muri superando le barriere della materia, che balzano fulminei da uno spazio all’altro, che odono voci lontane: questo è possibile perché il montaggio cinematografico ha questa capacità ellittica. Tu usi in questo modo la tua macchina fotografica, mostri come è possibile immortalare l’attimo e in questa esperienza della visualizzazione dell’istante, c’è il passaggio a qualche cosa che è possibile definire come eterno. Teologicamente o no, non ha importanza giacché nell’arte l’eterno esiste. Questo mi sembra estremamente interessante. Come la macchina da presa anche la tua macchina fotografica può superare le barriere della Fisicità. Noi vediamo dei corpi che si sollevano da terra come se si sprigionasse una forza dal basso verso l’alto, le persone sembrano sollevarsi in alto, come se ci fosse una forza contraria alla gravità. E’ come se nell’immagine fotografica si potesse impressionare ciò che non è fotografabile quel mondo che non appare appunto, agli occhi di chi è incarnato nello spazio e nel tempo. L’incisività di quest’operazione risiede nel fatto che come ogni opera d’arte, ogni opera simbolica, condensa nella forma estetica significati metaforici, spirituali ma anche propriamente filosofici. Il tema della percezione corporea del nostro modo di orientarci nel mondo vincolati allo spazio, al tempo è stato il grande tema centrale di tutta la fenomenologia e di tutta la filosofia del novecento. Le tue immagini non possono non far pensare a Husserl, a Merleau-Ponty allo stesso Heidegger di “Sentieri Interrotti”: il momento per esempio dell’ indicazione, dell’indice puntato in alto è il momento dello “svelarsi” nell’attimo di mondi che normalmente sono interdetti al nostro sguardo ancorato a terra. Peter Handke nello script del
“Cielo sopra Berlino” fa dire al vecchio poeta: “ci sono colli nascosti anche a Berlino nessuno più guarda in alto, ci sono anfratti, ci sono cose che non si vedono ma che il poeta vede e anche il bambino vede”. Nessuno guarda più il cielo nessuno guarda più queste zone questi interstizi, questi momenti di rottura rispetto al continuum della percezione, che sono i momenti proprio della apparizione, dell’ispirazione, del disvelamento. Continua il poeta, “se ognuno vedesse queste cose non ci sarebbero più massacri né guerre.”. Questo è un altro importantissimo punto della questione: il legame tra un certo occhio, tra una certa coscienza della simbolicità, un certo spirito creativo e poetico e l’etica la morale la pace. Ecco, chi vede questi interstizi, chi vede le cose che normalmente non si vedono è una persona che non è interessata alla competizione, al massacro, alla prevaricazione. Tornando al discorso sull’istante, c’è una frase di Wenders che riguarda le Polaroid nel testo pubblicato in Italia dal titolo “Una Volta”….”e tutto appare sempre e soltanto una volta, e di quell’una volta la foto fa poi un sempre” oppure quest’altra frase che bene si applica alle tue immagini: “ogni foto è una rievocazione della nostra mortalità, ogni foto tratta della vita e della morte, ogni foto ha un aura di sacralità, ogni foto è più dello sguardo di un uomo è superiore alle capacità del suo fotografo, ogni foto è anche un aspetto della creazione al di fuori del tempo da una visuale divina” . Ecco direi che questo uomo che dalle tue foto si solleva da terra potrebbe anche essere quello che i medioevali pensavano dell’essenza umana, cioè potrebbe essere un uomo visto subspecieaeternitatis, l’uomo visto da una visuale divina, di un divino che noi abbiamo dentro e che ovviamente il mondo di oggi, il quotidiano e tutta una vasta serie di condizionamenti ci impediscono di vedere.
A.TERRILE: …..sollevarsi dal suolo, scegliere di guardare le cose dall’alto, prendere distanza dal quotidiano, è una sorta di terapia per evitare quel male comune di vite prive di intenzionalità, che recano in seno il deserto emozionale che vivono ogni esperienza in modo freddo e arido…..persone che nell’atrofia del pensiero e dei desideri, continuano a fingere di “essere” loro malgrado. “Senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere. Per esso sacra è solo l’illusione, ma ciò che è profano è la verità” questo stralcio di Feuerbach ha accompagnato certe mie riflessioni adolescenziali sulle “pose” sull’atteggiarsi ad interpretare un ruolo che non ci appartiene, sulle posture con le quali perpetuiamo l’inganno (di noi stessi e degli altri); a queste manifestazioni dell’essere opponevo il mondo delle idee, i sogni ad occhi aperti, le “visioni” che perseguivo con tutti i mezzi a mia disposizione, e idealmente sentivo familiare e vicina la figura di Mary Poppins, l’eroina scaturita dalla penna di Pamela Travers, la governante portata dal vento dell’est che riparte col vento dell’ovest, è stato quindi quasi “biologico” che nel Febbraio 1996 a Venezia assieme a Carolyn Carlson riportassi in evidenza (nel rispetto delle rispettive poetiche) la governante che ha i piedi sospesi per aria (vedi immagine a catalogo N.D.T.).
Quando difendo “l’immaginazione”, penso a quel patrimonio che ogni bambino possiede come eredità naturale, che troppo spesso “i grandi” rimproverano o trascurano ………..come in Germinal di George Russel dove l’autore immaginò un bambino che gioca nel crepuscolo, quel magico momento tra il giorno e la notte e i grandi lo chiamano, strappandolo al suo sogno. Il bambino sa che è nello spiraglio che c’è tra due opposti: il giorno e la notte, il si e il no, il qua e il là che la realtà si svela.
Gran parte del mio lavoro fa riferimento ad emozioni e stupori legati alla mia all’adolescenza, momenti fondanti per la costruzione di un identità che le regole e i condizionamenti tendono a uniformare….i bambini sono liberi, o perlomeno avvertono di poterlo essere, e nel contempo detengono già l’adulto che saranno, se lasciati liberi di assecondare entusiasmi e curiosità potranno di diritto arrogarsi nel futuro la qualifica di esseri umani, non di cloni dei loro genitori o elementi di rivincita per gli stessi: esseri che colmano le lacune, i desideri inappagati…….
E.BUCHLI: Qui hai toccato l’argomento cui accennavo prima la questione dei piedi per terra, o di avere la testa fra le nuvole, o come diceva il poeta di P. Handke di guardare in cielo. E’ una questione di estrema importanza sulla quale si sono dibattuti i filosofi, antropologi, psicologi e teologi. L’uomo moderno, da Cartesio in poi ha perso le ali, le ali della fantasia. L’essere con la testa fra le nuvole non vive nell’irrazionale o nella follia, ma abita i luoghi dell’immaginario. Fortunatamente la filosofia del ‘900 e ritorno a citare Sartre, Merleau-Ponty, alcuni pensatori della psicologia analitica come Jung, antropologi come Bateson, anche i neurofisiologi hanno compreso che sia che si parli dell’emisfero destro o sinistro del cervello l’uomo non può vivere di sola ragione è amputato se non vive anche fra le nuvole. Cosa sono le nuvole? Sono le dimensioni dell’immaginario, della fantasia e dell’intuizione. Purtroppo abbiamo ereditato un razionalismo che fa tutt’uno con il materialismo per cui è reale solo ciò che è misurabile, quantificabile, percepibile. Questo è il dictat di Cartesio che in qualche modo ha spaccato l’anima dell’uomo dell’occidente l’uomo è diventato una “res extensa” da una parte e una “parte pensante” dall’altra. Via via a questa parte pensante si è data sempre meno importanza e di questa parte pensante si è in qualche maniera persa la mappa. L’uomo comune ha perso le mappe di questa dimensione, di questa realtà che pur è reale anche se non si vede. Sartre parla dell’immaginazione come luogo della “Assenza” in qualche modo l’immagine non è reale perché non è visibile, perché non pesa, perché non è quantificabile. Ma la filosofia del ‘900, ha fatto capire come questa non realtà è ciò che in realtà organizza la nostra percezione della realtà, se noi non avessimo la CAPACITÀ IMMAGINALE di collegare i diversi spazi, i diversi tempi e le diverse percezioni, non potremmo percepire e orientarci nella realtà. Se noi non avessimo dei progetti e quindi non sapessimo prefigurarci il domani, se noi non potessimo immaginarci un futuro fermeremmo la nostra vita.
Questo è quello che a livello patologico e psichiatrico capita nelle forti depressioni: chi si immobilizza perché non vuole più vivere, è perché non riesce più a immaginare un futuro diverso da quello presente. Dunque non riesce a sollevarsi da terra, Jung sostiene che questa capacità era molto attiva nei popoli cosiddetti primitivi, comunque nelle culture di tipo sciamanico. Jung spiega l’intuizione con questa metafora: se un uomo di una certa tribù non fosse stato in grado nella jungla di salire sull’albero più alto e di vedere le cose dall’alto non avrebbe potuto sopravvivere. Riuscire a vedere le cose dall’alto, riuscire a staccarsi dalla realtà, a volare, a sollevarsi da terra è una condizione antropobiologica, una condizione che mette in grado l’essere umano di vivere e di continuare una strada.
…….a proposito di Peter Handke mi viene in mente, in riferimento alle tue immagini e ad accenni che avevo fatto prima al: ” Viandante “……l’autore dice che la condizione per percorrere una strada consiste nella possibilità di sollevarsi da questa strada. E’ come essere nella strada e nello stesso tempo poter non esserci completamente, del tutto. Questo è il paradosso, la sfida che riguarda tutti gli uomini, che se ne rendono conto o meno. Guardando i tuoi Angeli mi viene in mente ciò che dice Husserl sul vero filosofo colui che deve mettere il mondo fra parentesi la famosa epoché trascendentale deve sospe
ndere il giudizio. Non che debba annullare o negare, semplicemente “sospendere” dunque smettere di avere i piedi per terra. Senza questa sospensione non possiamo conoscere la verità perché vediamo troppo da vicino, siamo troppo coinvolti, siamo troppo condizionati dai nostri desideri, non possiamo capire e comprendere come stanno le cose. “Proiettiamo”, si dice in psicanalisi, “travisiamo”, mettiamo davanti alle cose i nostri desideri, mettiamo le nostre immagini, questa volta però inconsce e inconsapevoli.
Dunque è la condizione del filosofo che a sua volta è la metafora di quello che ogni essere umano dovrebbe essere chiamato a essere prima o poi nel corso della sua esistenza, colui che sospende il giudizio, il giudizio; nel senso di “pregiudizio”.
A.TERRILE: ……..ripensando un’immagine archetipo per il mio lavoro, oltre alla succitata Mary Poppins, sceglierei “Le Therapeute” del 1937 di Rene Magritte e l’accompagnerei volentieri con uno stralcio del saggio di D. H. Lawrence sull’opera del poeta Walt Whitman………………………
“Non il cielo. Non il Paradiso. Non il sopra. Non il dentro. L’Anima non è né sopra né dentro. E’ un vagabondo sulla strada. Non attraverso la meditazione. Non attraverso il digiuno. Non esplorando un Paradiso dopo l’altro, all’interno di sé come i grandi mistici. Non con l’esaltazione. Non con l’estasi. Non per mezzo di un qualsiasi di questi sistemi l’Anima potrà entrare in sé stessa. Solo imboccando la strada. Non attraverso la carità. Non con il sacrificio. E nemmeno con l’amore. Non per mezzo di opere buone. Non è attraverso queste cose che l’Anima si realizza. Solo con il viaggio sulla strada. Il viaggio in sé stesso, lungo la strada. Esposti al contatto. Su due piedi lenti. Incontrando chiunque passi sulla strada. In compagnia di coloro che vagano nello stesso modo lungo lo stesso cammino. Verso nessun obiettivo. Sempre la strada.”
Con queste figure oltre ben inteso che con il patrimonio artistico dell’Arte sacra ho alimentato le mie “visioni”. La strada, i corridoi che compaiono attraverso “la prospettiva centrale” sono come nastri di scorrimento di queste figure che hanno i piedi sollevati dal suolo e che percorrono queste direttrici come vettori di forza che partendo dall’origine del Divino, passano attraverso il mondo umano per andare a perdersi altrove. I gesti, rimandi dell’iconografia angelica, invitano a rivolgere l’attenzione giust’ appunto ALTROVE, al di fuori dello spazio della rappresentazione, suggerendo con il loro “esser evocativi” percorsi che non devono più sottostare alle categorie di SPAZIO e TEMPO. Le vestigia referenti della contemporaneità assumono la funzione di tramite, di mezzo che ci accomuna e facilità nel prestargli ascolto mentre continuiamo il nostro cammino.
E.BUCHLI: Nel testo che citi di Lawrence si collega la possibilità di essere sulla strada al fatto di non aver nessun programma, nessun interesse, essere aperti come dicono i filosofi, alla rivelazione, aperti all’esistenza. Io credo che ci sia anche un collegamento simbolico tra la situazione di disagio, di sofferenza e in cui appaiono gli angeli, e quest’apertura. Forse la situazione di disagio, di sofferenza in cui appaiono gli Angeli è quella che meglio ci permette di essere aperti a tutte le possibilità, forse è quella che privilegia uno sguardo disincantato. E’ la condizione in cui non ci si fanno più illusioni, non si vuole più niente di programmato e programmatico e forse, in questa condizione di pulizia mentale è possibile vedere ciò che normalmente non vedremmo. E’ una interpretazione anche biblica questa, dove lo stesso Iahvè si presenta al popolo di Israele nel deserto, dove la rivelazione avviene in terre di nessuno. E se passiamo alla scrittura contemporanea ritroviamo la terra di nessuno, zona privilegiata dove lo scrittore può vedere e descrivere le cose come sono. Nell’ “Assenza” dove i personaggi di Peter Handke vanno alla ricerca di un posto che non è un posto, un posto dove “finalmente un filo d’erba sarà un filo d’erba una goccia d’acqua sarà una goccia d’acqua. Insomma l’anima ha bisogno della verità ma di una verità che, appunto non è la verità del realismo ma è la verità che si rivela nel mondo dell’invisibile e nel mondo dell’immaginazione o piuttosto nelle terre di nessuno.
A.TERRILE: …..mi torna alla mente un testo che ho scritto, anch’esso su un taccuino, nell’ottobre 1996, e che faceva riferimento anche alle “terre di nessuno”…..è uno scritto piuttosto misterioso, che ha il compito di dire attraverso la scrittura un po’ quello che provo e sento d’essere ogni qualvolta m’appresto a produrre pensieri, immagini, quando in definitiva formalizzo la mia natura creativa, è una sorta di autoritratto dall’interno dal titolo latino “NE QUID NIMIS” che significa nulla più del necessario:
Macheth : A che punto è la notte ?
Lady Macheth : …quasi alle prese con la mattina…
Per decidere chi sia delle due.
Vorrei essere indefinito. Indefinibile. Continuare a pensare pensieri già
pensati. Frequentare il luogo della creazione, quell’ALTROVE dove mi è
permesso riascoltare quanto ho visto ed esporre alla luce come sono trascorso,
quanto ho lasciato trascorrere e ciò che ho scelto di perdere ogni qual volta
sono vissuto realmente.
E’ necessario che un mondo muoia per la nascita di un altro; nella TERRA DI
NESSUNO è possibile che mi dimentichi, permettendo lo stesso a chi sta
guardando. La creazione si compie nel silenzio, privata……lo spazio reale
incontra lo spazio poetico…..un mondo viene assunto e ricreato.
E’ il senso di appartenenza ad una natura metamorfica che ha scelto per me il
mezzo fotografico che con la sua capacità di trasformare la realtà…..mi
permette di vivere la contemporaneità i suoi luoghi i suoi riti.
Ne quid nimis…….niente più del necessario, è quanto posso offrire a questo
fine secolo.
E.BUCHLI: L’artista abita la verità e questa verità può essere guadagnata solo sollevandosi da terra. Proprio per questo l’artista è spesso come l’antico profeta, colui che è in grado di vedere meglio come stanno le cose, di comprendere i segni del presente e dunque anche dove la Storia andrà, verso “dove” il presente è diretto. Paradossalmente proprio chi è più “fuori dalla realtà” riesce a capire meglio la realtà e il futuro stesso della storia. Non è un caso che i Profeti che avevano questo contatto particolare con l’angelo fossero dei separati che vivevano ai margini di una società. Potevano annunciare, (l’angelo significa annuncio), prefigurare il futuro, non perché avessero delle doti parapsicologiche, telepatiche o magiche, ma perché vedevano meglio il presente. Ogni epoca storica ha avuto i suoi profeti, i suoi poeti, i suoi poeti/profeti. I profeti biblici erano poeti, scrivevano delle meravigliose poesie, usavano delle immagini e usavano delle metafore, non facevano delle previsioni statistiche, non usavano i concetti…matematici o sociologici e queste metafore si avveravano non in senso letterale ma per certo in modo simbolico. Il cantante italiano Giorgio Gaber, autore di testi sempre molto legati alle vicende della contemporaneità, che attualmente si connota di materialismo, divismo, narcisismo dice in una canzone: “l’individuo non muore cerca nuovi ideali e riprova l’antica emozione di avere le ali….di avere le ali……di avere le ali”. L’Angelo è metafora di molta Arte, quella tesa a rendere l’invisibile visibile. Nel cinema e nella fotografia è la capacità di andare oltre l’immagine, la capacità di andare oltre l’inquadratura, nella Pittura, la capacità per il pittore stesso di andare come faceva Paul Klee oltre i segni che produce.
A.TERRILE:…..di una cosa sono certo, mentre qualcuno leggerà queste righe, o si soffermerà sulle mie raffigurazioni angeliche, in senso metaforico sarò “altrove”………………
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