Varie
Mercy o Mercì ?
HANNO UCCISO LA POESIA DELLA LUCE
Grazie alla tecnologia fotografica digitale, i software hanno operato la de-poetizzazione della luce.
Un tempo si aspettava il momento magico in cui, le ombre sarebbero scese su un viso, come su un paesaggio. Il fotografo modellava il suo corpo, offrendo la sua tensione fisica come emotiva, per poter essere in quella frazione di secondo la lama che incide e consegna l’attimo all’eterno.
Dal fotografo funzionario del software al fotografo schiavo dell’ultima versione del programma il passo è breve.
Sono felice d’aver vissuto la stagione analogica, quando ancora s’aspettava la luce, nel freddo, come nel caldo di un giorno.
Oggi, quando si ha un raw aperto e si può chiedere alla scimmietta che muove il software secondo passaggi stabiliti e non infiniti (passaggi memorizzabili e replicabili da tutti) di produrre un contrasto o d’emulare la ripresa come se fosse stata illuminata con luce al tungsteno oppure con luce ad incandescenza siamo coscienti del fatto che ci è stata rubata “la luce”?
La fotografia è techné unita alla sapienza del saper “essere” noi innanzi un soggetto e se questo, fatalmente sarà un corpo o un volto, interagire provocando o promuovendo espressioni che si andranno a modellare nella luce di quell’attimo, l’attimo in cui decideremo lo scatto.
Nel domani, lo scenario s’aprirà sull’inevitabile curvatura delle schiene dei nuovi fotografi piegati innanzi al monitor, come un tempo i devoti si inginocchiavano sui banchi delle chiese.
3 Comments
albertoterrile
Mi faccio tramite di Giorgio L che mi scrive via mail a riguardo di questo post, ecco le sue osservazioni:
Quanto scrivi sul blog mi trova d’accordo, ma vorrei aggiungere qualcosa. La luce, prima ancora che nell’obiettivo, bisogna averla dentro, cioè sapere che luce cercare o da quale luce farsi emozionare. Senza questo, nessuna “teckne” darà vita all’immagine. Ed il rapporto con la luce, Tu lo insegni, non si esaurisce nella fase di ripresa, ma è essenziale anche nella postproduzione, sia in camera oscura sia al computer. Interpreto le Tue parole come una critica nei confronti dell’uso spasmodico del mezzo digitale quando porta ad un esito artefatto ed artificioso rispetto al materiale di ripresa, trasformandosi in operazione di pura creatività immaginaria, legittima quanto può essere quella del pittore che compone con gli strumenti suoi propri, il che ci porta in tutt’altro campo.
Le nostre categorie tradizionali sono state sconvolte dal mezzo digitale e mentre, da un lato, non possiamo più farne a meno per l’indubbia comodità che ci fornisce (perchè andare col calesse quando c’è l’automobile ?) non possiamo non rammaricarci della prossima perdita di manualità (e della relativa cultura sottostante) concernente il trattamento tradizionale. Sono tuttavia ottimista, perchè ritengo che, anche se in misura sempre più minoritaria, il trattamento tradizionale continuerà ad essere praticato, forse con ulteriori ed impensati sviluppi, e non posso non rallegrarmi delle possibilità sempre più ampie che sono fornite alla creatività ed all’espressione artistica. Ma a questo punto le mie considerazioni ritornano al punto di partenza: prima ancora che in relazione al mezzo, il problema sta, e starà sempre, nella qualità dell’Artista. Ciao. giorgio.
albertoterrile
Avere la luce dentro significa contenere la bellezza, la stessa che sapremo riconoscere nel mondo.
Molte persone che provano stupore innanzi alle opere di certi artisti si chiedono :- Come è possibile realizzare cose del genere?
L’artista contiene e riconosce.
Le parole, le immagini, i suoni aleggiano nell’universo come delle frequenze che solo alcuni riescono a captare e ordinare in maniera che queste assumano una forma, quella forma che darà stupore e meraviglia.
chebruttagente
Giuste considerazioni, ma quel momento, l’attimo dell’apparizione, l’immagine che da sbiancata diventa nera….non so, io rimanevo incantata :-)