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Funghi
I FUNGHI SACRI DEL MESSICO: STORIA E ATTUALITÀ
APPUNTI SU DON RICARDO ROCHA, CURANDERO MAZATECO
di Gilberto Camilla e Steven Busignani
IL PASSATO REMOTO
Le relazioni dei primi viaggiatori, cronisti, missionari della Conquista spagnola, numerosissime reliquie precolombiane, affreschi, statue e terrecotte, molte delle quali anteriori all’era cristiana, ci dimostrano che nel centro America, Messico e Guatemala soprattutto, è esistito un vero e proprio culto dei funghi allucinogeni, culto che persiste ancora ai giorni nostri all’interno delle valli meno accessibili del Messico centro meridionale.
Presumibilmente il culto deve esser fatto risalire all’arrivo nelle Americhe dei primi gruppi di nomadi paleo-siberiani che in era pleistocenica giunsero dalle steppe asiatiche attraverso lo Stretto di Bering; le prime fasi di questa migrazione risalgono a oltre 30.000 anni fa, mentre la “conquista” del Continente si protrasse fino al 7.000 a.C. circa, quando i Paleo-siberiani raggiunsero anche l’America Latina.
Nel 1898 l’archeologo tedesco Carl Sapper fece conoscere al mondo occidentale l’esistenza di strane statuette rinvenute negli scavi in territorio maya del Guatemala, statuette oggi conosciute universalmente con l’espressione anglosassone di mushroom stones (“pietre-fungo”), ma che inizialmente vennero interpretate come raffigurazioni falliche.
Dalla fine del secolo scorso ad oggi sono stati centinaia i ritrovamenti di queste statuette, risalenti ad un periodo compreso fra il 2.000 a.C. e l’800-900 d.C. Generalmente si tratta di colonnine alte da 20 a 35 cm su cui svettano figure antropomorfe o zoomorfe sormontate da un cappello fungino. Il loro ruolo era indubbiamente sacramentale, ma nonostante gli studiosi fossero a conoscenza del fatto che gli Spagnoli documentarono nelle loro “Cronache” l’utilizzo di funghi inebrianti, nessuno prima di Robert Gordon Wasson mise in rapporto le mushroom stones con l’esistenza di un culto dei funghi sacri (WASSON&WASSON, 1957).
Nel Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico il turista può ammirare la stupenda statua del dio Xochipilli, il “Principe dei Fiori”. La statua fu ritrovata alla metà dell’Ottocento a Tlalmanalco, alle pendici del vulcano Popocatepetl, e risalirebbe ad almeno una generazione prima dell’arrivo degli Spagnoli. La statua poggia su una base, parte integrante della scultura, ed è una riproduzione in miniatura della parte bassa di un tempio azteco sulla quale siede, ad altezza naturale, Xochipilli, in atteggiamento ieratico, col volto coperto da una maschera. Lo sguardo rivolto verso il cielo, la bocca semi aperta, la mascella in fuori, le mani quasi atteggiate in un mantra, una strana torsione delle dita del piede destro, sembrano esprimere meraviglia, stupore, gioia, estasi.
La causa dell’estasi del Principe dei Fiori, il dio che per gli Aztechi simboleggiava la giovinezza, la luce, la danza, la musica, il gioco, la poesia, l’arte (una via di mezzo fra il vedico Krishna e il greco Dioniso) ci viene rivelata dai numerosi dettagli floreali che ricoprono la sua capigliatura e l’intero suo corpo, a guisa di tatuaggi. I vegetali, ad un attento esame, si dimostrano essere fiori di tabacco, di ololiuhqui (Rivea corymbosa) e diHeimia sacifolia, tutte piante psicotrope conosciute dagli Aztechi e dalle altre popolazioni precolombiane che le utilizzavano a scopi magico-religiosi.
I quattro lati della base sono invece ornati da un emblema che ad un occhio attento rivela la presenza di cinque funghi visti di profilo o in sezione. Altri funghi sono scolpiti sul corpo del dio estatico, sulle sue ginocchia, al centro della testa. La statua, lo abbiamo già detto, proviene dalle pendici del vulcano Popocatepetl; nella mitologia azteca il Paradiso, o Tlalocan, era localizzato sulle pendici di una “verde montagna”, situata ad oriente. Questo “paradiso” era proprio il vulcano Popocatepetl, al centro dell’area dei funghi sacri. Se teniamo presente che uno dei funghi psilocibinici più apprezzatoancora oggi dagli Indios è la Psilocybe aztecorum, comune proprio sul Popocatepetl, ecco che non possono esserci dubbi su quale specie di fungo sia stata rappresentata sulla statua del dio azteco.
Molte sono le testimonianze letterarie che i contemporanei della Conquista spagnola ci hanno lasciato circa l’uso dei funghi sacri, e tra le più preziose vi è da segnalare la Historia de las Indias de Nueva Espana del frate domenicano Diego Duran. Si tratta di un documento (XVI secolo) sulla storia degli Aztechi, sulle loro pratiche religiose, sui miti, sulla vita quotidiana. Nel capitolo denominato Cronica X, viene narrato dei festeggiamenti che seguirono l’incoronazione del re Tizoc (1481) e di come, alla fine di un sontuoso banchetto, vennero serviti dei funghi: “Tutti i Signori e i Grandi delle Province si alzarono in piedi e, per rendere ancor più solenne l’avvenimento, mangiarono dei funghi silvestri che dicono far perdere la ragione, e dopo tutti si prepararono per le danze”. (II, XL 40)
Duran si lascia andare anche ad un commento generale molto importante dal punto di vista etnobotanico, rivelando così il suo non indifferente spirito di osservazione: “Una cosa ho notato (…) che non vi è prova che essi bevano vino o che si ubriachino con qualcos’altro che non siano i funghi silvestri. Che mangiano crudi e con cui (…) si rallegrano, diventano felici, e in qualche modo ebbri: non si fa cenno al vino, eccetto che nei sacrifici o ai funerali; si fa soltanto cenno alla cioccolata, che bevono in abbondanza durante i momenti di esaltazione”.(Il, XLII 16)
E veniamo poi a sapere che all’incoronazione di Monteczuma (1502) i festeggiamenti durarono quattro giorni consecutivi, con alla fine dei sacrifici umani: “Il sacrificio ebbe termine, e i gradini del tempio e del patio grondavano sangue umano, allora tutti incominciarono a mangiare dei funghi crudi; con questi persero la ragione peggio che se avessero bevuto molto vino; così ubriachi e senza ragione che molti si uccisero tra loro a mani nude, e con la forza di quei funghi avevano visioni e rivelazioni per il futuro, il Diavolo in persona parlava loro in quell’ebbrezza”.
Il passo è così diverso nel tono dai precedenti che forte è il sospetto di una posteriore manipolazione di coloro che redassero i manoscritti originali di Duran. Altra importante fonte di informazione, sia pure deformata, sul Messico al tempo della Conquista ci viene dal francescano Bernardino de Sahagun, la cui opera complessiva è immensa, conservata in parte a Madrid e in parte a Firenze, nella suggestiva Biblioteca Laurenziana. “La prima cosa che mangiano sono dei piccoli funghi neri che loro chiamano nanacatl che li inebria e provoca allucinazioni, e a volte anche lussuria. Li mangiano prima del sorgere dell’alba, accompagnandoli con bevande di cacao. Li mangiano col miele, e quando incominciano ad arrivare alla testa, si mettono a danzare e qualcuno canta, qualcuno piange, perché incominciano ad essere ubriachi dei funghi. Qualcuno non canta, ma rimane seduto in casa, tutto assorto in se stesso. Qualcuno ha la visione di essere sul punto di morire, e per questo si mette a piangerealtri credono di essere divorati da qualche belva feroce: qualcuno ha la visione di catturare molti nemici in battaglia, altri di essere diventati ricchi, altri di possedere molti schiavi o di aver commesso adulterio e venire lapidati per il reato; altri vedono di aver rubato qualcosa e di essere puniti per questo, altri ancora credono di aver commesso un omicidio o di venire uccisi; altri credono di stare per annegare, altri hanno visioni di vivere e morire in santa pace, altri ancora di precipitare da un dirupo (…) Poi quando l’ebbrezza dei funghi è terminata, si mettono a discutere delle visioni avute”. (Codice di Firenze, Libro IX).
Anche Toribio de Benavente, meglio conosciuto come Motolinia, parla del teonanacatl in un’opera il cui titolo dice già tutto: Historia de los indios de la Nueva Espana: relacion de los ritos antiguos, idolatrias y sacrificios de los indios de la Nueva Espana, y de lamaravillosa conversion que Dios en ellos ha obrado: “Posseggono un altro mezzo per inebriarsi, che accresce la loro crudeltà: usano certi funghi che crescono nelle loro terre come pure in Castiglia, ma i loro sono così selvatici che, mangiati crudi, per la loro amarezza devono essere presi con il miele; e subito dopo essi hanno migliaia di visioni soprattutto di serpenti; completamente fuori di sé, sembra loro di avere corpo e gambe ricoperti di vermi che li divorano vivi, e così deliranti escono dalle case invocando che qualcuno li uccida: in ragione di questa bestiale ebbrezza (…) può succedere che qualcuno si uccida, o che nei confronti di altri sia ancora più crudele. Nella loro lingua chiamano questi funghi teonanacatl, che significa ”carne degli dei”, o meglio del diavolo, che essi adorano, e che, con questo cibo amaro, ricevono come loro crudele dio”.
Il fungo sacro non attirò soltanto l’attenzione degli innocui anche se ignoranti e fortemente etnocentrici Cronisti e Missionari, ma anche, sfortunatamente per gli Indios, dell’inquisizione. Con la caduta dell’impero azteco la furia e l’avidità degli Spagnoli ebbe il sopravvento sulle antiche divinità, sulle tradizioni e sul sistema di vita che aveva retto per migliaia di anni. In un baleno tutto ciò in cui gli Indios si riconoscevano venne distrutto dalla brama di potere di un regno lontano e dall’intolleranza di una religione estranea. La Chiesa e gli zelanti missionari cancellarono col fuoco dell’Inquisizione tutti i riti e le credenze locali, e in pochi anni l’oblio avrebbe ricoperto il millenario passato del Messico.
Dai molti verbali conservati negli Archivi generali emerge che anche le mogli dei soldati spagnoli, soprattutto quelle provenienti dalle classi inferiori, consultavano i funghi sacri, probabilmente non con il consumo diretto ma attraverso il consulto di un curandero. Il primo documento inquisitoriale che tratta dei funghi è datato 1537, quando il Vescovo di Città del Messico, il francescano Juan de Zumarrega, presiedette il giudizio contro due indiani, Mixcoatl e Tlaloc. Questi erano accusati di resistenza all’autorità spagnola, di aver organizzato una rivolta armata contro gli oppressori e di aver invocato l’aiuto dei loro dei affinché assicurassero loro la vittoria. Nel corso del processo i funghi furono menzionati cinque volte, e considerati un simulacro dell’eucarestia (Arch. Gen. Mes. “Procesos de Indios, Idolatrias y Hechicerios, vol. 111).
Un altro interessante processo dell’Inquisizione risale ai 1692, a Michoacan. Una giovane donna, Ines Martin, abbandonò il marito Ponzalo. Questi, disperato, si mise a cercarla in ogni ove; in un bosco incontrò un indiano che gli disse di mangiare dei funghi e che in una visione avrebbe visto dove la moglie si trovava. La testimonianza di Ponzalo resa davanti al Tribunale fu così trascritta: “Nella città di Tximaroa, l’11 maggio 1630, davanti a Padre Cristobal de Vaz, Commissario del Santo Uffizio dell’Inquisizione in questa Giurisdizione (…) è stato ascoltato sotto giuramento il tal Ponzalo Perez, maritato con Ines Martin (…) L’accusato afferma che circa due anni fa è stato abbandonato dalla moglie (…) Mentre la cercava in un bosco, incontrò un Indiano di nome Joseph che disse al nostro testimone che gli avrebbe dato un fungo chiamato nanacate che gli avrebbe fatto vedere dove si trovava la moglie; così lui mangiò due pezzi ma non vide nulla e disse a Joseph: ”Vattene da me, perché sei uno stregone, non hai fatto nulla per me, né ho visto qualcosa”. Al che l’Indiano disse che avrebbe dovuto prenderne cinque pezzi, e poi avrebbe visto la moglie, e così il testimone fece, senza sapere cosa stava facendo, spinto soltanto dal desiderio di ritrovare la sposa (…) Dopo due ore vide un serpente che gli disse: “Girati, e vedrai tua moglie”, e giratosi egli la vide nella casa di una sua cugina prima di nome Patrona Gutierrez, che la stava spidocchiando (…) Il testimone tornò alla casa dei genitori e disse alla madre di aver visto la sposa e confessò di aver mangiato quel fungo che già sua madre conosceva, e lei prese un rosario e lo mise al collo del figlio e poi andò a cercare la nuora e la trovò dove il testimone l’aveva vista e la portò a casa”. (Arch. Gen. Mess. Vol. 340)
In questo processo è interessante notare come nessuno metta in dubbio il potere del fungo, e anche l’inquisitore tacitamente accetta la storia per vera. L’eccezionalità del documento che abbiamo voluto riportare non sta nella “credulità” di Ponzalo, quanto nel fatto che egli, come Spagnolo, fu l’unico Bianco di cui si ha notizia a mangiare i funghi prima che in Messico giungesse, nel 1955, Robert G. Wasson.
IL PASSATO PROSSIMO
La durissima persecuzione dei funghi sacri ebbe come conseguenza che dalla fine del Seicento fino agli inizi del secolo appena trascorso, più nessuna menzione venne fatta a proposito di esso. Tre secoli di silenzio totale! Dobbiamo a R. E. Schultes e a R.Weitlaner il merito, dopo i secoli bui, di aver segnalato il perdurare del culto fungino che, lungi dall’essersi estinto, si era nei secoli arricchito di aspetti sincretici. Nel 1936 R. Weitlaner trovò i funghi sacri nelle terre mazateche, ma non riuscì ad identificarli dal punto di vista botanico. Due anni dopo, in compagnia della figlia e di J.B. Johnson, riuscì, sia pure solo come spettatore passivo, ad assistere ad una cerimonia con i funghi. Nel 1938 a Huautla de Jimenez (Oaxaca) giunse anche R.E. Schultes, pioniere indiscusso nella ricerca degli allucinogeni di origine vegetale, che riuscì a pubblicare le prime descrizioni botaniche di alcuni funghi messicani (SCHULTES, 1939). I lavori di Weitlaner e di Schultes passarono del tutto inosservati, a tutti, ma non a R.G. Wasson che con la moglie Valentina si dedicava allo studio del ruolo dei funghi (di tutti i funghi) nei diversi contesti culturali.
[…]
I coniu gi Wasson partirono per il Messico nel l’estate del 1953 e at traversarono in lungo e in largo gli altipiani della Sierra Mazateca, riuscendo anche a partecipare ad una cerimonia condotta dal curandero Aurelio Carreras, senza però riuscire a consumare i misteriosi funghi. La cerimonia ebbe luogo il 15 luglio 1953 e fu de scritta nei detta gli in Mushrooms, Russia & History (WASSON & WASSON, 1957:255-265). Ci vollero altri tre viaggi in terra mazateca prima che Wasson riuscisse, per caso, a conoscere Maria Sabina, la curandera che per prima lo iniziò ai funghi sacri.
Così, nella notte del 29 giugno 1955, Wasson divenne ufficialmente il primo uomo bianco ad aver usato il teonanacatl. I resoconti delle cerimonie con Maria Sabina sono stati più volte pubblicati, e il lettore interessato può consultare direttamente queste fon ti: WASSON & WASSON, 1957; WASSON, 1957; HEIM & WASSON, 1958; WASSON, 1980; HUXLEY, WASSON, GRAVES, 1999.
Dalle sue ricerche e da quelle che vennero svolte successivamente, emerge che si conoscevano due tipi di versi di veladas, o “cerimonie divinatorie”; nella prima, più propriamente magico-divinatoria, il curandero lancia su una stuoia dei chicchi di frumento o di mais e fornisce le risposte cercate in base alla disposizione che i chicchi assumono. I “poteri” divinatorivengono spesso rinforzati con tabacco, funghi allucinogeni o altre piante psichedeliche (ololiuhqui, Salvia divinorum, etc.). Le risposte dello sciamano (il solo a mangiare i funghi in questo tipo di velada) giungono dopo un lungo periodo di silenzio durante il quale sembra con centrarsi sul le domande rivoltegli. Fu di questo tipo la prima cerimonia alla quale i coniugi Wasson parteciparono, quella condotta da Aurelio Carreras.
Il secondo tipo di velada è quello più drammatico, cantato, recitato e danzato, forse più vicino allo sciamanesimo originale, documentato da Wasson e con Maria Sabina protagonista assoluta. In questo tipo di cerimonia lo sciamano può, a sua discrezione, dare i funghi anche ai presenti; anche la quantità è stabilita dallo sciamano. Il culto dei funghi sacri nel corso dei secoli si è arricchito di aspetti sincretici, dando origine ad uno strano miscuglio fra religione autoctona (precolombiana) e cristianesimo, distanziandosi però da quella che presumibilmente fu nell’epoca preispanica.
L’antica cerimonia, stando almeno ai Cronisti della Conquista, si svolgeva all’aperto, sovente di giorno, e coinvolgeva spesso l’intera comunità. Le cerimonie documentate da Wasson (e dagli altri ricercatori successivi) avvengono esclusivamente di notte, lontano da occhi indiscreti, e coinvolgono poche persone per volta, di regola un nucleo famigliare. I funghi vengono raccolti di primomattino, preferibilmente con la luna nuova. Vengono mangiati sempre e soltanto crudi, freschi fin tanto che ciò è possibile, altrimenti secchi, ma mai oltre i sei mesi dalla raccolta. A volte vengono consacrati sull’altare della chiesa cattolica locale. Molte sono le occasioni per cui si puòorganizzare una velada, ma sempre per trovare una risposta ad un problema, spesso famiglia re. Il malato sopravviverà o è destinato a morire? Se sopravviverà, cosa bisogna fare per curarlo? Dove è scomparso il mulo? È precipitato da un burrone o si è soltanto smarrito? È stato rubato da qualcuno? Da chi?
Una velada è organizzata sempre per motivi seri, mai per puro divertimento o per scopi malvagi. I turisti psichedelici che a migliaia si riversarono negli anni Sessanta a Huautla de Jimenez, il villaggio di Maria Sabina, non capirono nulla dei funghi sacri:
“Siamo venuti per cercare Dio” dicevano. Mi rimaneva difficile spiegare loro che le veladas non si fanno per il solo desiderio di incontrare Dio, ma unicamente per lo scopo di curare le malattie (…) In seguito seppi che i giovani dai capelli lunghi non avevano bisogno di me per mangiare le “piccolo cose” (…) Quelli li mangiavano stando in qualsiasi luogo; per loro era la stessa cosa, li masticavano seduti all’ombra delle piantagioni di caffe, oppure su di un masso su qualche sentiero di montagna. Quei giovani, biondi e bruni, non hanno rispettato le nostre tradizioni. Mai che io ricordi i ninos santos sono stati mangiati con tanta mancanza di rispetto! Per me le veladas non sono un gioco. La persona che le fa semplicemente per sentire gli effetti può diventare pazza” (Maria Sabina, in ESTRADA, 1981:90-91).
La cerimonia comprende un certo numero di accessori rituali, tutti allineati su una stuoia accanto ad un semplice altare: pezzi di incenso, cacao, chicchi di mais, tabacco verde, uova di gallina, piume di uccello, corteccia d’albero (WASSON & WASSON, 1957).
I Mazatechi, ceppo etnico al quale apparteneva Maria Sabina, credono che i funghi consumati di giorno provochino la pazzia. La notte è considerata il momento più propizio per l’esperienza visionaria e per penetrare nei misteri del soprannaturale. I funghi sacri sono sempre mangiati a coppie, come simbolo del maschile e del femminile. In senso generale, per i partecipanti lo scopo della velada è quello di una catarsi terapeutica: i funghi sacri sono considerati delle “medicine”, dati da Dio agli uomini per conoscere e guarire. […]
fonte: www.micologica.org
One Comment
Diego
Ricordo esperienze molto intense, gioiose, illuminanti.
Ricordo una grande lucidità della mente.
Ricordo anche di aver capito che l’unica cosa che conta nella vita è l’Amore, in tutte le sue forme.
“E ricevevo insegnamenti che non avevano parole…”
Grazie